WILLIAM MUSSINI e il nuovo Realismo nel cinema indipendente italiano

Se tutti sono in gara, per citare Caparezza, William Mussini preferisce rallentare pur non restando fuori dal Tempo. Al contrario, egli ne rimane saldamente ancorato e in esso si muove, lo osserva, lo vive e dal caos generato dal vaso di Pandora della Modernità ne estrapola storie, parole, suoni che fonde in immagini.

La sua curiosità e il suo anticonformismo lo pongono sempre in una posizione privilegiata di attento investigatore, capace di raccogliere elementi dal mondo che lo circonda e che trasporta poi nel suo.

Un mondo in cui si respira libertà e indipendenza da condizionamenti e convenzioni; un mondo, quello del cinema indipendente, avulso da logiche di mercato e segnato da un’autenticità i cui tratti peculiari consistono in uno stravolgimento totale del linguaggio e dell’immagine.

Un cinema il suo che nasce durante la notte e nutrito da visioni, <<dalla curiosità, dalla volontà di interrogare il mondo che mi circonda in attesa di risposte o quantomeno di uno scambio di energie, di psiche e di emozioni>>, dal pensiero anarcoide e libertario di Gaber e De Andrè.

La peculiarità dei cortometraggi di Mussini consiste proprio nel loro configurarsi come opere dai finali senza fine, lasciando nell’osservatore il dubbio, l’interrogativo, la facoltà di far decidere a lui la migliore conclusione.

L’ago della bilancia non pende mai verso un’unica soluzione, a riprova del fatto che egli non vuole imporre visioni o giudicare gli eventi, ma semplicemente narrarli secondo il suo punto di vista, che non emerge mai in maniera assoluta, bensì si insinua sommessamente nella trama delle storie.

Storie che non lasciano spazio all’illusione, ma si fondono su un crudo realismo mitigato dalla delicatezza a tratti onirica delle immagini, le quali scorrono ad una velocità tale da riuscire a cogliere i dettagli di un volto, di un gesto, di un’espressione e catturarne la potenza anche laddove la parola e i suoni sono assenti.

Ecco allora il Tempo emergere come costante variabile, in asincronia tra l’apparenza e l’essere, tra il visibile e l’interiorità; un Tempo che genera attese che creano incertezze sull’attimo presente e su quello a venire, in un clima di suspense di kubrickiana memoria durante il quale la fissità apparente dell’immagine è fonte di rivelazione.

Fucking World rappresenta la costante temporale di una società contemporanea in preda al delirio di onnipotenza del ”fare tutto e farlo subito”.

È una critica mordace alla tendenza all’apparire per essere, all’essere gli individui divenuti non più critici e pensanti, ma <<compratori di illusioni e di emozioni omologate, cavie per esperimenti di natura finanziaria, elementi essenziali di un sistema economico globalizzante, decadente, improntato al profitto perenne>>.

Nel cortometraggio il protagonista elenca una serie di parole-azioni pronunciate in maniera sempre più veloce e che pare essere un riflesso di quella tendenza alla frenesia tutta contemporanea al dover dire-fare-pensare in folle corsa contro un Tempo che sembra non essere mai abbastanza sufficiente. Un mondo che corre all’impazzata e che si muove attraverso schemi regolamentari il cui risultato finale è un’alienazione dell’individuo.

Al protagonista non resta che prendere consapevolezza della sua condizione e come soluzione finale può o soccombere o uccidere il riflesso malato di sé, l’immagine e l’esistenza che <<il maledetto mondo ”perfetto” del cazzo gli ha estorto subdolamente perpetuando la routine quotidiana attraverso l’inganno>> (simboleggiato dal puntare il fucile non contro se stesso, ma contro l’occhio della camera).

Fucking World diventa così il riflesso di quello che, nel 1985 con disarmante attualità, Pier Vittorio Tondelli definiva ”post-moderno di mezzo’‘, il cui tratto caratteristico ”risiede nel…trovare proprio nelle sovrapposizioni nuovi stimoli estetici. Tutto ciò sembra dipendere dal fatto che stiamo finalmente assaporando i piaceri dell’era elettronica, cioè della fulmineità dei segnali, della loro iperscambiabilità e, di conseguenza, del loro azzeramento ideologico e semantico in funzione della sublimità del sembiante”.

Una dispersione a causa della quale l’alienazione marxista non dipenderebbe più dalle condizioni di vita, ma dalle stesse creazioni dell’uomo, ossia le macchine, verso le quali già Nietzsche espresse sfiducia laddove ne Il viandante e la sua ombra sostenne che queste avrebbero reso sì attivi e uniformi, ma a lungo andare a queste si sarebbe sostituita ”una disperata noia dell’anima che per mezzo suo ( sott. della macchina) impara ad avere sete di un ozio ricco di mutamenti”.

Senso si alienazione che emerge con forza in Help. Un progetto complesso che affronta il tema della disumanizzazione sia a livello fisico che a livello di dignità della persona.

Ispirato ad una installazione di Elio Cavone, Help si sviluppa lungo due sequenze che trasmettono entrambe un senso di degrado e abbandono. La solitudine, l’inquietudine e la disperazione accomunano queste due parti, quella di chi implora inascoltato il bisogno di soccorso e chi, pur ricevendolo, si sottrae.

Un senso di abbandono dal sapore nostalgico che trasuda dal luogo scelto per girare questo cortometraggio, ossia una fabbrica abbandonata. Un luogo che diviene simbolo della fine di un’umanità che si è lasciata logorare dagli eventi e che alle sue conquiste cede il posto ad un’arrendevolezza dinanzi alla sua incapacità di avanzare. Gli ingranaggi della Storia e del Tempo sembrano essere logorati dall’impossibilità di trovare una strada da seguire e nell’impossibilità di avanzamento non resta che retrocedere, ripercorrere quella strada all’inverso senza neppure la capacità di voltarsi.

<<Nel movimento e nella fissità, la parola “aiuto” accomuna l’individuo ed il suo alter ego, entrambi impotenti di fronte alla ineluttabilità degli eventi, nell’isolamento ambientale e psicologico, metafora della condizione umana moderna>>.

Potrebbe sembrare che nel mondo di Mussini non ci siano spiragli di speranza o di salvezza; un mondo distopico e nichilista, governato da quei sentimenti, quali la sofferenza, la solitudine e soprattutto la diffidenza la quale, come sostiene Gershom, il protagonista del Giuda di Amos Oz ”al pari di un acido, consuma ciò che la contiene e divora chi la cova…sono queste le cose che portano l’uomo fuori dal mondo”.

Il fine dei cortometraggi di Mussini non è, tuttavia, urlare al catastrofismo e all’ineluttabilità degli eventi e della sorte; egli piuttosto punta a proporre soluzioni estreme e invitare l’osservatore a riflettere su di esse per trovarne altre affinché quel dato fatto non accada.

È in questo che è possibile capire le motivazioni di Mussini a non proporre finali.

Al contrario, Mussini non ha sfiducia nelle capacità umane; è necessario però che gli individui imparino a rallentare, soffermarsi sulle loro azioni, riacquistare la capacità di apprezzare la bellezza di un gesto e di un sentimento, quali possono essere la danza di Camilla (Camilla De Luca) ne ‘‘La voce di Camilla” o il fiore donato dalla scultura antropomorfa de In a world in silent, trasformando << il suo amore nella sostanza tangibile di un fiore…la bellezza del sentimento viene raccolta e regalata>>.

Non tutto è perduto! Bisogna solamente ricordare che ”nascosto entro un albero ombroso c’è un ramo, d’oro le foglie e la verga flessibile”, ma ”tutto il bosco lo copre, entro le oscure convalli protetto lo tengono le ombre” (Virgilio, Eneide,VI, 136-140).

Per concludere. Una scelta azzardata quella di Mussini di operare in un settore controverso come quello del cinema indipendente. Una scelta, tuttavia, di cui egli non si pente e che giudica inevitabile, ma che è fonte anche di soddisfazioni e di riconoscimenti (vincitore all’Eurofilm Festival 2016, .all’International Film Festival, all’ANSFF)

<<Una “scelta”, o meglio una direzione inevitabile direi. I motivi per cui faccio cinema “breve” (per ora) e indipendente sono diversi e legati anche al contesto culturale e socio/economico in cui opero. Testardamente però, ribadisco che il mio modo di fare cinema non sarebbe potuto essere differente da ciò che è, in quanto esprime ciò che sono e che penso. La mia attività può considerarsi però bicefala: da una parte c’è la mia personalissima ricerca d’autore, dall’altra c’è il mestiere che mi consente di vivere e di portare avanti un discorso imprenditoriale. Con la Società di produzioni cinematografiche/teatrali INCAS fondata nel 2013, portiamo avanti un progetto artistico e commerciale che ha visto sino ad ora la realizzazione di un primo lungometraggio, di diversi spot per brand nazionali ed internazionali attraverso la piattaforma Zooppa, numerosi cortometraggi su temi del sociale, documentari finalizzati alla promozione del territorio, storici e didattici, corsi di formazione cinematografica e spettacoli teatrali sui temi più disparati.

Riguardo al discorso “elitario… politicamente orientato” ed anche “cinema colto, di nicchia…” posso solo dirti che non c’è alcuna premeditazione nel creare storie, né c’è una volontà di risultare diverso da parte mia, ma solo una autentica vocazione all’anticonformismo>>.

-Alessio Celletti

FONTE VIDEO: courtesy l’artista