Matteo Fratarcangeli: In Colombia con Pasolini

Dopo la performance “L’uomo omologato e mercificato”, Matteo Fratarcangeli vola in Colombia per discutere con gli studenti di quattro scuole la figura e l’opera di Pier Paolo Pasolini. Un autore poco conosciuto oltreoceano, ma che è stato al centro di un profondo scambio di visioni tra culture, tutto sommato, non così diverse

di Alessio Celletti

Pasolini sbarca in Colombia e a portarlo fin laggiù è stato Matteo Fratarcangeli. Il performer, reduce dal successo del suo ultimo lavoro, “L’uomo mercificato e omologato”, un ciclo di incontri svoltosi la scorsa estate in 53 Comuni italiani per discutere e riflettere sul pensiero pasoliniano, in occasione della celebrazione dei 100 anni dalla nascita del grande poeta, scrittore, regista e drammaturgo, è stato invitato dal presidente di Com.It.Es Colombia (Comitato Italiani Esteri) a tenere una serie di incontri con gli studenti italiani residenti in Colombia.

Pasolini in Colombia: l’attualità del suo pensiero

Un viaggio, l’ennesimo, che ha rappresentato un’occasione di riflessione, di confronto, di curiosità. Perché se c’è un autore capace di suscitare dibattiti questo è Pier Paolo Pasolini e lo ha fatto anche là, in Colombia, dove la sua opera è meno conosciuta, meno “vissuta”, dimostrando tuttavia di saper parlare un linguaggio universale. Quello stesso linguaggio contro il quale egli si è scagliato in molti dei suoi scritti, in molte delle sue più profonde riflessioni, diventa la chiave di lettura di un incontro che è andato ben oltre una mera lectio pasoliniana, ma è stata occasione per scoprire e riscoprire una comunanza di visioni, di una storia divisa da un oceano, ma che corre parallela e s’insinua, nella contemporaneità, all’interno di quegli ingranaggi sociali, culturali, economici, politici già annunciati e condannati dal controverso scrittore.

Da questo punto di vista il pensiero pasoliniano non molto si discosta da quello di un altro grande autore suo contemporaneo, Gabriel Garcia Marquez.

Forse è proprio questa comunanza, questo substrato culturale ad aver “agevolato” la comprensione e l’interesse per Pasolini tra i giovani colombiani.

Pasolini nelle terre di Garcia Marquez

Pasolini In Colombia
Fernando Botero, Family, 2010, Oil on canvas, 146 x 176 cm – 57.5 x 69.3 in.

Pasolini e Garcia Marquez parlano, seppur con registri differenti, la stessa lingua, condividono le stesse esperienze letterarie su cui riversano la comune visione di un mondo in totale stravolgimento, soggiogato dal Potere a sua volta schiavo di quello che è il comune denominatore di tutta l’essenza della riflessione dei due scrittori: il consumismo.

Spietato e cieco, questo figlio degenerato del benessere è il fascismo contro cui lotta Pasolini e il capitalismo statunitense di Garcia Marquez.

A tal proposito, su “Vie Nuove” del 1962, Pasolini scrive: “L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo”.

Di contro e in concomitanza, i personaggi di Marquez sono vittime inconsapevoli di quello stesso benessere egoistico: puntano in alto, travolgono tutto e tutti per raggiungere gli apici della socialità riconosciuta e acclamata, vivono in fragili torri d’avorio dentro le quali si nutrono di un conformismo che li divora da dentro e li abbandona ad un destino misero, dal quale non trovano alcuna via di scampo.

Proprio sul trinomio Consumismo-Omologazione-Mercificazione ragiona Matteo Fratarcangeli, che li interpreta alla luce di una profonda lettura dell’opera pasoliniana e che sintetizza così: “Penso che scandalizzare sia un diritto, ed essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta di essere scandalizzato è un moralista: Pasolini in questa considerazione mette a nudo proprio il principio dell’omologazione e mercificazione. Il corretto esistere che moralmente non si discosta da una visione unitaria. Tutti coloro che guardano oltre sono visti come qualcosa da isolare perché rompe l’equilibrio”.

La crisi del linguaggio nel pensiero pasoliniano

La società di massa che origina da questo trinomio è culturalmente informe: essa vive di codici che a loro volta “producono il comportamento… comportamento è un linguaggio; e che in un momento storico in cui il linguaggio verbale è tutto convenzionale e sterilizzato (tecnicizzato) il linguaggio del comportamento (fisico e mimico) assume una decisiva importanza”.

I codici di cui parla Pasolini assumono valore e condizionano la percezione della realtà. A dimostrazione di questo si può portare un esempio. Nel domandare a Matteo Fratarcangeli quale differenza abbia colto tra pubblico italiano e colombiano, il performer ha risposto di essere rimasto stupito da una domanda che nei vari incontri gli è stata posta: perché nelle foto illustrate Pasolini veste sempre in maniera elegante anche nelle circostanze più informali?

Un’osservazione all’apparenza banale, ma che racchiude più paradossi della contemporaneità di quanto si possa immaginare.

L’immagine e il grado zero della comunicazione contemporanea

L’immagine è il codice linguistico del nostro tempo. Abbiamo, infatti, sviluppato l’abilità di saper leggere più un’immagine che un testo scritto.

L’immagine è divenuta, come in passato, il grado zero della comunicazione; il veicolo privilegiato, posto tra l’immediatezza e la spettacolarizzazione, valori anch’essi fondamentali del consumismo.

Al contempo quello che ha catturato l’attenzione è il dettaglio del vestire di Pasolini, della sua contraddittorietà in relazione a determinati contesti, quasi a voler ribadire una posizione privilegiata rispetto a ciò che lo circonda.

Trasposto ai nostri giorni, lo avremmo definito un “comunista col Rolex”, intento a predicar bene, ma nei fatti ad essere esso stesso parte di quel mondo che tanto va criticando.

Pasolini, in effetti, è spesso contraddittorio da questo punto di vista, ma in fondo egli stesso è caduto nella trappola in cui tutti siamo cascati.

Pasolini e il nuovo fascismo nell’opera di Fratarcangeli

Bestemmiamo la tecnologia e il progresso scellerato, ma non possiamo vivere senza tutto ciò che essi ci offrono. Ci crogioliamo nel rimpianto di un tempo quasi mitico fondato sull’essenziale, sul lavoro, sui presunti “sani valori e principi”, eppure le rinunce e i sacrifici che ci hanno imposto durante il lockdown sono bastati a farci sprofondare in un turbinio di angosce.

Pasolini rimpiange quella che definisce “Età del pane”, eppure ha vissuto in un tempo che gli ha regalato l’illusione del benessere. Forse le sue parole non vanno contestualizzate e circoscritte al suo tempo, ma proiettate fino ai nostri giorni.

Pasolini ha visto e vissuto gli effetti deleteri del vero fascismo e dell’illusione che ha creato, trasformando le persone in marionette manovrabili con la fascinazione delle sue parate, dei suoi slogan, delle sue campagne militari. Il potere seducente del linguaggio è stata l’arma di cui si è servito per veicolare valori e codici che hanno stordito e inebriato. La stessa pratica è adottata nella società dei consumi: una propaganda continua e martellante fondata sul “tutto è necessario”, dove non avere quel tutto significa non far parte della massa.

Pasolini osservava a suo tempo tutto questo, cogliendo velatamente quella caratteristica propria del nostro tempo: il voler camminare in avanti, ma con lo sguardo all’indietro; l’essere indistintamente uguali pur rivendicando il nostro spazio di individualità. Ma come si fa ad essere diversi, se la nostra diversità la ricerchiamo nel disperato bisogno di sentirci parte del sistema?

Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima”. Questo, allora, per Pasolini si traduce in un dato di fatto incontrovertibile, espresso nella sua condanna definitiva alla civiltà dei consumi:” Questa «civiltà dei consumi» è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la «società dei consumi» ha bene realizzato il fascismo” (P.P. Pasolini, intervista rilasciata all’Europeo nel 1974).

Ricercare la diversità fuori dai recinti della massa: questa è la grande sfida che Matteo Fratarcangeli ha voluto affrontare con la sua performance. Portare una figura a suo modo rivoluzionaria come Pasolini in una terra da sempre infiammata da uno spirito rivoluzionario martoriato da decenni di rivoluzioni civili si carica di un significato ancora più forte.

E se in Colombia lo spirito rivoluzionario non si è assopito, animato da una lotta interna che si mescola a quella contro la critica feroce a quel globalismo omologante e mercificante , spesso confondendosi, in Italia invochiamo la salvezza da un nemico non bene identificato, ma che in fondo amiamo, almeno sin quando continuerà a sfamarci di illusioni elettroniche e promesse fantasmagoriche di futuri multiverso fluidi in pixel.

Mentre continua a presentare il suo Pasolini in diversi eventi organizzati, l’artista sta già prospettando un nuovo viaggio. Dopo Dante Alighieri e Pier Paolo Pasolini, con chi si confronterà la prossima estate Matteo Fratarcangeli?