”MIRAMAR” di Nagib Mahfuz: Alessandria alla fine…

”MIRAMAR”, 1967

Miramar, copertina del libro dell'edizione italiana
N. Mahfuz, Miramar, copertina ed. italiana dal 2010 a cura della Giangiacomo Feltrinelli Editore

<<Alessandria alla fine.

Alessandria pioggia di rugiada, eruzione di nuvole bianche. Culla di raggi lavati in acqua di cielo, cuore di ricordi bagnati di miele e di lacrime>>.

Alessandria come terra di esuli ed eremiti e il Miramar suo refugium peccatorum.

Il Miramar come inizio e fine; come approdo per alcuni e porto di salpata verso nuovi lidi di Vita per altri.

Se si è abituati ad immaginare la città di Alessandria irradiata di sole, calda ed esotica, Mahfuz ambienta la storia, invece, in pieno inverno, alla fine dell’anno per l’esattezza. Una città diversa, dunque, da quella che si è abituati ad immaginare; insolita nel suo essere sferzata da violenti temporali, raffiche di vento, dal ruggire imperioso del mare ”nero iniettato d’azzurro (che) esplode d’ira. La reprime. (Mentre) le onde si scontrano fino a strozzarsi. Ribolle di una rabbia infinita, implacabile”.

Una tempesta non dissimile da quella che scuote gli animi della greca Mariana e dei suoi ospiti. Non molti, in realtà quattro, unitamente ad un’affascinante ragazza al suo servizio, la quale diverrà il fulcro delle vicende che legheranno e faranno scontrare i quattro ospiti.

La trama si fonda, infatti, sulle relazioni che i personaggi tessono all’interno della pensione, analizzate da ciascuno dal proprio punto di vista, sicché ogni capitolo è un ripercorrere la stessa vicenda guardata e vissuta diversamente dai singoli personaggi, dei quali non si tralasciano spaccati della vita precedente al soggiorno al Miramar.

Mahfuz racconta in modo leggero e a tratti drammatico uno scontro tra generazioni, mantenendo una linea ferma proprio nel ripercorrere una vicenda unica, ma dalla quale riesce a estrarre visioni alterate, frutto di un modo distinto di vivere il presente, opponendo anziani e giovani, testimoni di due tempi differenti, di due realtà storiche e culturali che sembrano non trovare dialogo, benché corrano tutte nella direzione di un nichilismo dal quale non ci può salvare.

Un dialogo assente tra passato e presente.

”Addio a me e al mio mondo. Mi rimane ben poco. Il mondo è un’immagine estranea a questi occhi affaticati, sotto l’ombra di sopracciglia bianche e rade”.

Amer Wagdi è l’unico che tenta di comprendere quest’ultimo, i cambiamenti che sono seguiti a quella Rivoluzione  del 1952 che ha travolto un mondo che, sebbene ingiusto, sembrava garantire quelle certezze che il tempo attuale non è in grado di fare. Amer capisce che ha poco da vivere e lo può fare andando a recuperare la memoria dei begli anni in quel luogo, il Miramar, e lo fa consapevole che il passato è superato e non resta che assistere allo scorrere del tempo nell’impossibilità di far parte della Storia; un semplice spettatore degli eventi. Un custode della memoria storica che può solo tramandare, ma che sa non poter incidere o lasciare frutti.

Una posizione di ferma opposizione nell’accettare il presente è quella dell’ex proprietario terriero Tolba Marzuq. Questi, infatti, vive con disprezzo quel tempo che lo ha privato della ricchezza e dei privilegi. Il presente è per lui un esserci e una galera dalla quale non si scorge futuro. Rimpiange il passato, la ricchezza e di questo non gli resta altro che la tempra autoritaria del proprietario. Non c’è rimpianto, né nostalgia, ma rabbia e diffidenza.

Malinconica è invece Mariana, della quale Mahfuz ne tratteggia un profilo da icona matronale ortodossa, un poco diva, un poco aristocratica. Mariana vive bloccata in quel passato che sopravvive in ogni angolo del Miramar, nelle fotografie dei mariti, nella mobilia, nei racconti degli anni dorati della pensione che Mariana dispensa ai suoi clienti. Sembra vivere prigioniera di quel luogo, un’esule incapace di affrontare un presente che ha travolto tutto. La sua certezza è quella di rivedere la sua pensione risplendere delle glorie passate. Tutti torneranno per la fine dell’anno. Tutto alla fine ritornerà.

Un’ingenuità a tratti commovente, che la relega in un limbo all’interno del quale si lascia cullare dalla dolcezza dei suoi ricordi.

Caratteri nettamente distinti e distanti da quelli degli ospiti più giovani.

Hosni ‘Allam, Mansur Bahi, Sarhan al-Buheiri e Zahra vivono un presente senza passato. Un passato   sopravvissuto in quanto Storia, ma quello che a loro sembra interessare è cercare nell’attualità la giusta direzione verso il futuro. Reclamano libertà contro un sistema antico, fatto di tradizioni, doveri e lottano contro il susseguirsi di un ordine gerarchico basato sull’imposizione e la privazione. Il loro è, tuttavia, un tempo dove le certezze sono labili e le prospettive molteplici. Si vive l’attimo e si colgono le occasioni; si vive in solitaria tra azzardi ed eccessi, tra la voglia di indipendenza e l’incertezza del domani.

Zahra, il ”vulcano in esplosione”, incarna questo tempo, divenendo simbolo di ribellione e libertà, la rappresentante di un tempo nuovo, che nulla ha da condividere col passato.

Zahra rivendica la sua individualità e la sua posizione di donna. Zarha è la fine e l’inizio, è desiderio e lotta; Zhara è la gioventù senza meta.

Questi confronti tra generazioni portano alla conclusione che, in fondo, il reale protagonista del romanzo di Mahfuz è il Tempo.

Un Tempo nella definizione heideggeriana, ossia come esserci e come progetto gettato.

I protagonisti di ”Miramar”, cioè, esistono in quanto uomini capaci di determinare le situazioni, di ”progettare il mondo”; un mondo, tuttavia, in cui le situazioni che lo determinano sono provvisorie, subordinate alla consapevolezza della finitezza dell’esistenza.

È quanto sembra aver compreso Mansur Bahi nell’istante in cui afferma di cercare ”la soluzione a diverse contraddizioni, una soluzione difficile a quanto pare. E la morte potrebbe essere la soluzione estrema”.

Alessandra alla fine. La tempesta che tutto travolge è il caos che destabilizza, è il baratro nichilista di un mondo che procede allo sbando.

Cosa avverrà quando la tempesta si placherà?

Per Mahfuz solamente dopo uno sconvolgimento totale si potrà riacquistare l’equilibrio e alla fine da questo miscuglio di elementi un nuovo cosmo nascerà. E il mondo e la vita andranno avanti.

-Alessio Celletti

BIBLIOGRAFIA

-N. MAHFUZ, Miramar, ed. Economica Giangiacomo Feltrinelli, 2010, Milano

-B. BELLERATE, C. CIANCIO, G. FERRETTI, A. PERONE, U. PERONE, Filosofia e Pedagogia, vol.3, ed. SEI, 1983, Torino

FONTE IMMAGINE: WEB