RIFLESSIONI POSTMODERNE

1. IL XXI SECOLO: NUOVI CORSI STORICI
Verso la fine degli anni ’90, con l’approssimarsi del nuovo millennio, in molti furono colti dal timore che la fine del mondo fosse prossima.
Una paura che già sconvolse gli uomini un millennio prima, sebbene nessuna apocalisse si è abbattuta sull’umanità ed il mondo è andato avanti.
Non si può, però, nascondere che il XXI secolo sia stato funestato già, in questi primi 17 anni, da una serie di eventi che hanno inciso sul contesto storico con consequenziali ricadute su diversi aspetti culturali e sociali.
Il 2001 è segnato dal tragico evento che farà da traino ai successivi mutamenti e sconvolgimenti a quell’equilibrio che sembrava si fosse raggiunto almeno in parte dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: l’attentato terroristico alla Twin Tower a New York, l’11 settembre di quell’anno.

La grande America era stata colpita al suo interno e la reazione dell’allora presidente George W. Bush fu immediata, procedendo ad una aperta dichiarazione di guerra all’Afghanistan (controllato dalla spietata ed estremista cellula terroristica di al-Qaeda, capeggiata dal leader Osama Bin Laden).
L’eclatante gesto ebbe risonanza immediata non solo in Medio Oriente, ma anche tra chi, al limite dell’estremismo, rispose all’invito dei terroristi ad unirsi ad essi per compiere la volontà di Allah e punire gli infedeli.
La guerra in Iraq prima e la stagione delle ”primaevere arabe” poi aprono un nuovo capitolo. Morto Bin Laden, crollato il regime di Saddam Hussein e quello di Gheddafi e Mubarak dalle ceneri di un Medio Oriente instabile sorge una nuova e spietata forza: l’Isis, che, tramite attacchi e invasioni, assoggetta Paesi musulmani con l’obiettivo di ricreare un grande califfato sulla base di quelli edificati  dai primi sovrani musulmani.
Essi si sono resi responsabili negli ultimi anni di una serie di attentati in diverse città, soprattutto europee: Parigi, Bruxelles, Nizza, Berlino e Londra.
Si tratta soprattutto di cittadini originari di Paesi musulmani, ma vissuti in Europa e fedeli al califfato.
Tra questi in molti danno sostegno  quest’ultimo nelle guerre nei Paesi in Medio Oriente, specie in Siria, dove il califfato tenta di prendere posizione nel già complesso gioco di forze in campo.
Le conseguenze della fine del regime in Libia e la guerra siriana hanno visto un forte aumento del fenomeno migratorio, da sempre esistito, ma che ha raggiungo livelli non quantificabili a causa anche del prevalere di forme clandestine alimentate da criminali che hanno dato vita ad un vero e proprio commercio di vite umane.
L’effetto è il costante crescere di un clima di paura e tensione a livello sociale.
I governi di alcuni Paesi dell’Unione europea hanno reagito chiudendo le frontiere innalzando barricate contro i profughi.
L’ascesa al potere di Donald Trump è un altro evento che ha dato una nuova e importante svolta storica, alla cui ascesa ha fatto seguito un ”revival” populista e sovranista che reclama una maggiore autonomia dei singoli Paesi e una riaffermazione dell’identità nazionale i cui presupposti vertono su politiche tanto delicate quanto utopiche, non in grado di reggere con un’economia fortemente globalizzata e con un mutamento del mercato che richiede scambi per reggere il peso e le necessità di un’industria che molti Stati non sarebbero in grado di sostenere.
La sovranità, infatti, non si regge su singole politiche interne e nei proclami.
La crisi economica del 2008 è l’altro importante evento che ha segnato i primi anni del nuovo millennio.
In Europa questa ha fatto sentire pesantemente i suoi effetti, specie nei Paesi mediterranei come Spagna, Grecia e Italia, dove le misure di austerity imposte dall’Ue hanno determinato un aggravamento delle condizioni economiche e sociali che ancora oggi incidono sulla vita di questi Stati.
In Italia tutti questi fattori, uniti ad una sfiducia verso una classe politica sempre più distante dalle esigenze del popolo, ha portato ad emergere talune tendenze populiste che, come in molti altri Paesi europei, fanno leva sulla grande crisi raccogliendo consensi soprattutto tra strati più poveri della società.
Tutto ciò crea un clima di insicurezza e tensione che lentamente rischia di minare lo status quo difficilmente raggiunto.
L’uscita della Gran Bretagna dall’Ue è un segnale forte, così come l’elezione di Trump negli Stati Uniti.
La distopia contemporanea è seguita da un mutamento che si rispecchia anche a livello sociale e culturale.
1.1 LA SOCIETA’ POSTMODERNA
”La postmodernità è la modernità senza illusioni”1.
Con la fine del moderno, scrive Grazia Ardassone, si ha avuto un senso di sgretolamento della cultura in favore di un pragmatismo che, secondo l’idea comtiana, guarda solo all’esistente. Polhemus sostiene, invece, che le caratteristiche proprie del postmoderno sono da rintracciarsi nella frammentazione, nell’eclettismo, nelle possibilità sincretiche, nella nostalgia dominante2.
Senza dubbio la società postmoderna si trova a confrontarsi con l’eredità del pensiero moderno e con una storia recente travolta da un rapido processo di digitalizzazione del reale che ha inciso profondamente in essa.
L’individuo ha dovuto misurarsi con un cambiamento rapido che in circa un ventennio lo ha visto ”venire inglobato” in una realtà nuova, virtuale che, nell’epoca del web 2.0, richiede un adeguamento ad essa, visto che ormai la comunicazione, il marketing e altre necessità rendono necessario il ricorso ad essa (un esempio è quello di alcune pratiche burocratiche che possono svolgersi in Rete).
La comunicazione passa attraverso le piattaforme Web.
Esse mostrano maggiormente i mutamenti nel modo di relazionarsi e il modo di pensare o lasciarsi influenzare da una miriade di informazioni.
Quest’incontro tra virtuale e reale sta assumendo proporzioni tali da sembrare che il primo si stia sovrapponendo al secondo.
Per Arcagni, invece, il reale c’è, ma è stato potenziato e amplificato dalle tecnologie che hanno allargato gli spazi ed esteso i sensi col quale l’individuo si rapporta ad esso3.
È un reale che rivaluta se stesso e crea nuove forme di approccio.
Alla base di questa esperienza telematica espansa creare relazioni diviene quasi una esigenza, il punto attorno al quale ruota tutta la filosofia del web 2.0.
La politica stessa se ne avvale, cercando di relazionarsi direttamente con l’utente attraverso blog, pagine personali, discorsi in diretta video.
L’economia anche passa attraverso la Rete a dimostrazione dell’importanza (specie in questo periodo) che i nuovi media stanno assumendo, mettendo a disposizione strumenti nuovi di pubblicità o possibilità e, per chi se ne avvale, di trarre anche vantaggi in termini di valore monetario.
Tutti ricorrono alla rete: dai più giovani agli adulti.
I primi, chiamati nativi digitali, sono cresciuti in questa nuova realtà e, apparentemente, sembrano abituati a muoversi in essa.
Psicologi e sociologi, tuttavia, contestano tale affermazione, sostenendo la loro inadeguatezza a sapersi destreggiare nell’intricato mondo del web.
Gli adulti si limitano, per lo più, all’utilizzo sociale di quest’ultimo.
Oramai si vive proiettati nel mondo virtuale, ma ciò ha delle conseguenze: social network, in particolar modo, divengono sempre più frequentemente ”arene di malessere”: dai fenomeni di cyberbullismo, alla pedopornografia o stalkeraggio virtuale (catalogabili in forme di Net Addiction, ossia dipendenza da internet) sino ai pesanti scontri verbali.
Una popolazione frammentata, disorientata, che non vive più, come sosteneva Baumann, di illusioni, ma neanche di prospettive.
Gli effetti della crisi che privano l’individuo della propria libertà economica hanno dato vita a paranoie collettive e luoghi comuni infondati, alimentati da pregiudizi a priori nonché da un’informazione multipla e molto spesso manipolata non tanto dai principali organi di diffusione (per i quali si dovrebbe parlare di ”presa di posizione”, presentando una notizia virandola verso una precisa direzione di favore), ma da piccoli gruppi o individui che creano notizie ad hoc che fomentano un clima già carico di paura4.
Ad essere penalizzati sono soprattutto i giovani: privati della possibilità di costruirsi un futuro, sbeffeggiati da una classe politica, in molti preferiscono trasferirsi all’estero, in cerca non tanto di carriera, quanto della possibilità di potersi sentire indipendenti.
Una nuova generazione di ”nomadi” maggiormente predisposta a muoversi, a cambiare, a scoprire nuove realtà.
Una generazione che è rispecchia il pensiero di Polhemus o quello di Baumann sulla ”società liquida” , ossia quella pronta a creare relazioni e a mutarle sempre e non si lascia turbare da tutto ciò.
Chi decide di restare tenta di trovare una propria strada, alle volte rischiando, in altre trovando le soluzioni migliori.
Nel Sud Italia molti giovanissimi vengono ingaggiati dalla criminalità organizzata; il poter fare denaro in modo rapido e cospicuo, pur se illegalmente, rappresenta per molti la soluzione al problema della povertà, specie nei quartieri più poveri.
Alla base di questo disagio ad affrontare il presente senza intravedere un futuro vi è una cultura diversa, più pragmatica, che cerca in continuazione stili di vita nuovi, nuove tavole di valori, non rispettando più i principi esistenti ritenuti obsoleti [Rorty, Foucault].
Vi è ”la decisa volontà di ignorare precedenti e gerarchie storiche, la ricusazione di ogni sforzo di essere mortalmente seri, la prontezza nel cambiare volti, stili, identità, l’abbandono di ogni tentativo di trovare un significato […] e la libertà del <<tutto va bene>> nel mondo della creazione e dell’interpretazione” [Gardner, 1994]5.
Il fallimento di disegni economici complessi e a volte valevoli a livello teorico ha mutato la visione complessiva dell’esistente.
La mancanza di prospettive e l’incapacità di adeguarsi ad un mondo sempre in preda alla frenesia del mutamento ha gettato nel vivere contemporaneo l’ombra dell’angoscia di doversi sentire parte di un mondo escludente.
La vita virtuale apre scenari nuovi e convergenti, un mondo del ”tutto è lecito”.
La cultura si sottomette a processi selettivi privi di basi a discapito di una ricerca che non supera il banale.
I tempi sono scanditi dalla pluralità di interessi e adattati ai ritmi di un lavoro che chiede, a sua volta, di essere ridisegnato sulla base delle esigenze del privato.
Per concludere, vi è un dualismo di fondo nella società postmoderna: se da un lato proietta se stessa in una realtà espansa, virtuale, con tutti i vantaggi o aspetti negativi che ne possono derivare, dall’altro, sotto il profilo storico-sociale si registra una tendenza alla regressione, al riemergere di una barbarie culturale che sta andando controtendenza rispetto a quella visione pluralista, multietnica e libera da ogni forma di costrizione che ci aveva lasciate la cultura moderna.
Una distopia che trova conferma nella continua recessione lavorativa; in una cultura sempre più votata alla barbarità del linguaggio; un ricorso sempre più eccessivo e ingiustificato alla violenza (dai più numerosi casi di femminicidi a quelli della più recente cronaca nera tempestata di omicidi di figli, di genitori, vendette di origine razzista od omofoba, ecc.).
Tutto ciò lascia difficilmente credere che, in quest’epoca dominata dai nuovi media, possa realizzarsi uno scenario utopico alla Blade Runner come immaginato da S. Arcagni. Sembra invece, dal punto di vista storico e sociale, di assistere ad un’involuzione, una recessione. Un nuovo ”Mediaevo6 postmoderno.
2. NUOVI INTELLETTUALI E LINGUAGGI DELL’INDUSTRIA CULTURALE
In un contesto, come quello contemporaneo in costante mutamento anche la cultura gravitante intorno ad esso subisce inevitabilmente importanti cambiamenti.
La stessa industria culturale, pertanto, si trova a doversi confrontare con nuovi fronti, nuove problematiche.
Cosa si intende per industria culturale?
È un espressione coniata da Adorno nello studio critico circa il rapporto tra intellettuale e cultura di massa.
Essa si configura come apparato globale, che si esprime mediante linguaggi diversi in ciascun settore.
In questo contesto il ruolo dei media diviene fondamentale.
Nel corso del storia dell’ultimo secolo questi sono divenuti lentamente parte integrante della vita della società, influenzando abitudini e comportamenti.
L’Italia, da questo punto di vista, ha seguito un percorso diverso: specie nei settori della televisione, della radio e del cinema essa risente oggi dell’avanzata dei nuovi media che, come sottolineato anche da McLuhan, non sostituiscono i vecchi mezzi di comunicazione, ma li comprendono.
Il loro compito è quello di modificare le strutture sociali e per farlo si adeguano ai bisogni della gente e all’attenta analisi delle interazioni sociali.
Devono adattarsi al mutamento delle abitudini, considerare e riferirsi ai prodotti materiali della società.
Abbruzzese, partendo da Adorno e Horkheimer, legge i mutamenti in atto nella comunicazione sotto il profilo di uno scontro sempre più forte tra politica e istituzioni del sapere.
Scrive infatti: ”Credo si chiaro: la dicotomia tra cultura d’élite e cultura di massa è la cornice da cui tuttora possiamo, anzi dobbiamo leggere la crisi del sapere accademico, delle istituzioni e dei suoi modelli di formazione a fronte dello sviluppo tecno-culturale sempre più catastrofico dei processi di socializzazione e dei conflitti di potere nelle società moderne. Di una società in cui tutti i suoi paradigmi storicistanno venendo meno tanto nel loro valore quanto nella loro funzionalità. Compresa la politica”7.
Abbruzzese evidenzia che nel tempo è cambiata la figura stessa dell’intellettuale: da avulsa dal contesto reale,  osservatore e critico di questa, immerso in una visione del tutto moderna della società di massa di cui non sente più di far parte, ad una completamente opposta.
Si è passati dalla logica del ”dover essere” a quella de ”l’esserci” con un ribaltamento della figura dell’intellettuale che non ragiona più esternamente alla società, ma se ne sente parte attiva.
A tutto questo si accompagna una realtà che vede non un ”piccolo ceto” di persone chiamate a dare norme e principi che possano valere per la collettività.
La diffusione rapida ed espansa dell’informazione e la possibilità di interagire riconosciuta a chiunque ha fatto sì che tutti in qualche modo siano divenuti (da soggetti inseriti in una collettività di massa che subiva il messaggio mediatico passivamente)  componente attiva ed ”intellettuale” di questo processo mediatico.
L’apertura al digitale operata da alcuni palinsesti televisivi ha favorito un’ulteriore integrazione dei tradizionali media nel quotidiano, selezionando temi e argomenti che possano stimolare la partecipazione collettiva.
È evidente come il ruolo della televisione sia andato mutando: da programmi politicamente influenzati, con uno scopo mirato (nel caso italiano) si è passati ad un aumento di canali settoriali, mentre le grandi reti danno uno spazio maggiore all’intrattenimento e all’informazione.
Cambia anche il linguaggio. La Farinotti mette bene in mostra: ”L’immaginario sociale moderno viene sì modellato dall’i.c., ma attraverso un processo dialettico cui contribuisce ‘attivamente’ la massa dei destinatari. La dialettica tra sistema di produzione culturale legato a logiche di mercato e ai bisogni culturali dei consumatori si risolve in un reciproco adattamento: è come se l’i.c., nel momento stesso in cui pianifica i suoi prodotti per il consumo, riuscisse a dipanare la coscienza annodata della massa, i cui sogni prendono forma compiuta e visibile proprio grazie alla manipolazione. Del resto, l’i.c. utilizza come strutture costanti, su cui organizza la produzione, le forme archetipiche dell’immaginario, i temi mitici e tutto quel patrimonio di modelli con cui lo spirito umano ordina da sempre i propri sogni. Grazie a queste strutture costanti (situazioni-tipo, personaggi-tipo, generi…) è possibile piegare le necessità di innovazione della creazione alle esigenze di standardizzazione della produzione industriale. L’i.c. riduce gli archetipi a stereotipi, luoghi di sedimentazione di un inconscio collettivo standardizzato, ma non totalmente pianificato dagli apparati produttivi: la continua ripresa di questo patrimonio di cliché consente, infatti, di utilizzare formule sperimentate, ma anche di sperimentare nuovi significati”8.
Anche il linguaggio cinematografico risente del necessario compromesso tra ”le forze emergenti dal rimosso sociale e le potenze di censura, di sublimazione e di normalizzazione provenienti dagli apparati economici e di potere. I sogni collettivi messi in scena dall’industria dell’immaginario sono un impasto di realtà e desiderio, di produzione mirata al consumo e di aspettative inconsce, risultato della collaborazione, spesso inconsapevole, tra chi produce e chi fruisce. L’immaginario sociale moderno viene sì modellato dall’i.c., ma attraverso un processo dialettico cui contribuisce ‘attivamente’ la massa dei destinatari”9.

1 Z. Baumann, Modernità e ambivalenza, 1991, cit. in G. Ardissone, Postmoderno, ed. Xenia, Milano, 2013

2 G. Ardissone, Polhemus, ivi, pagg 21, 41.

3 S. Arcagni, Screen City, ed. Bulzoni, Roma, 2012.

4È il caso del fenomeno del ”cospirativismo”: notizie che partendo da un fatto e vengono costruite in modo tale da non poter essere facilmente contraddette.

5H. Gardner, Intelligenze Creative, in G. Ardissone,Postmoderno, ed. Xenia, Milano, 2013, pag. 28

6 Espressione utilizzata da M. Morcellini ne ”Il Mediaevo italiano. Industria culturale, tv e teconologia tra XX e XXI secolo”, ed Carrocci, Roma, 2005.

7 A. Abruzzese, L’industria culturale di Adorno e Horkheimer: una proposta di rilettura, in H-ermes, Journal of Communication, n. 1, 2013. htttp://siba-ese.unisalerno.it

8 L. Farinotti, L’Industria culturale, in http://www.lacomunicazione.it/voce/industria-culturale/

9 Cft nota precedente.