D’AVANGUARDIA ED OLTRE: NUOVI LINGUAGGI

Un nuovo concetto sembra dominare il panorama europeo dopo la fine della Grande Guerra: quello di un necessario ‘’ritorno all’ordine’’.
È un’idea che investe non solo il campo culturale, ma anche politico e sociale.
La Guerra ha travolto vecchi Imperi, regimi liberali, nonché quella sorta di nuovo umanesimo che, ‘’bestemmiando Dio e il Padre’’1 , celebra un perverso antropocentrismo in cui l’uomo, per citare A. Savinio, ‘’ha perso il modello, guadagnando così una libertà mai goduta prima’’2.

In campo artistico il nuovo secolo si apre con l’intensa e selvaggia stagione delle avanguardie, quella ‘’arte di orfani che rinnegano la lezione paterna’’, come definita da Walter Pedullà, ponendo così l’accento sul carattere fondamentale della nuova esperienza: la ricerca di un linguaggio di frattura col passato e con la stessa realtà.
Una rivoluzione o, come si evince dal termine tratto dal gergo militare, una guerra che si apre con un urlo, quello espressionista; si disperde nel chiasso meccanico del Futurismo; che passa per la deframmentazione del reale in molteplici punti di vista propria della dialettica cubista; nell’alterazione e negazione dadaista di questo reale.
Tante sono le avanguardie novecentesche e tutte dominate dall’ossessione del nuovo, dalla volontà di rovesciare tutto ciò che prima era egemone, di abbattere ogni censura.
Si faccia terra bruciata di ciò che ci si lascia alle spalle!
Il Futurismo, oltre a presentarsi come il primo e vero movimento d’avanguardia, richiamandosi ai concetti di violenza e velocità, sembra interpretare questa esigenza di rinnovamento; questa veloce rivoluzione che ha la necessità di fare tutto subito, che fa della sfrenata vitalità il suo strumento di opposizione alla tranquilla vita borghese e al paludato linguaggio accademico.
Si nutrono di una nuova malattia i movimenti di Marinetti, di Tzara e successivamente di Breton; un’epidemia che contagia e al contempo si rivela essere un fattore di crescita del nuovo secolo: la nevrosi.
‘’La pazzia sarebbe una guarigione ideale-ma impossibile’’3 e ci si addentra in quel mondo oscuro che le ricerche di Freud stanno facendo emergere.
L’inconscio diviene un terreno fertile da sondare e scavare per far affiorare i segreti che la psiche vuole conservare.
Dalla trascrizione futurista del materico alla scrittura automatica surrealista, si deve dare forma all’informe scaturito dal caos in cui sembra essere precipitato il XX secolo già al suo principio.
‘’Senza nevrosi manca l’energia per vivere con l’intensità che legittima l’esistere, nonché la sua espressione artistica’’.
Quell’energia che alimenta le sfrenate serate futuriste o quelle al Cabaret Voltaire a Zurigo dei dadaisti.
Anche il movimento Dada infatti, formatosi nella città svizzera nel 1916, fa del nichilismo di matrice nietszchiana (come i futuristi) uno dei suoi pilastri; anche Dada ama ‘’il gusto per la sperimentazione e la provocazione,[…] diviene una strategia d’agitazione culturale […] che non ha alcun fine’’4: non rinnega il passato e non celebra il futuro, ma vive del presente e in questo, come accade per ogni movimento d’avanguardia, si disperde ben presto.
Essere attivi nella realtà, ma vivere al contempo in un mondo visionario: sono i due poli attorno ai quali ruota l’arte di questo primo ‘900, che da un lato s’imbeve di nuove ideologie sorte sulle ceneri delle politiche liberali e dalle più svariate ed estreme interpretazioni del marxismo (si pensi alle Riflessioni sulla violenza di Sorel), dall’altro  ricerca linguaggi, miti e comportamenti inconsci capaci di rivelare aspetti mai visti della vita.
E sarà proprio la follia a dare visioni che servano ad illuminare il senso di questa vita; non a caso Savinio esalterà lo stato scemo del genio, capace attraverso la conquista delle tecniche più astratte di dire cose per le quali ancora non esistono i giusti linguaggi5.
Nuovi linguaggi, rottura di schemi, ‘’igiene del mondo’’: l’avanguardia vive di visioni alternative o distorte della realtà e la guerra sembra essere l’occasione adatta a rendere concreto un programma che sembrava essere destinato a restare fissato sui vari manifesti che i movimenti pubblicano come annuncio di una nuova rigenerazione. Scoppia la guerra: si fa pulizia, ma l’avanguardia stessa ne resta travolta.
Ritorno all’ordine.
Per Franz Rho, il teorico tedesco del Realismo magico, era quanto di meglio potesse offrire la pittura europea che tornava a ripassare la lezione degli antichi maestri; ciò non significa reazione all’avanguardia, la cui vicenda non poteva ormai più essere ignorata (considerando anche che molti degli artisti che nel periodo postbellico volgono la propria arte verso il recupero di forme oggettive ‘’classiche’’ avevano partecipato alla stagione avanguardista, essendone stati talvolta, come nel caso di Derain e Picasso, protagonisti), ma, come scrive Jean Clair, rappresenta ‘’l’espressione ansiosa […] del bisogno di fondare l’arte del dipingere su basi più solide e più stabili’’6.
Questo salto all’indietro non ignora, come già detto, l’appena trascorsa esperienza delle avanguardie; nota R. Bodei in Le forme del bello che lo sperimentalismo, il violare regole e tradizioni lascia ormai del tutto indifferenti. Piuttosto, specifica l’autore, l’arte moderna è in lutto, vive col ‘’tabù sensoriale del godimento’’ 7, col suo divieto di gioire al dolore del mondo.
Si assiste ad una via crucis del brutto crudelmente esibito (si osservino le opere degli anni ’20 di Grosz), ma si avverte da parte degli artisti la necessità di congedare velocemente questo cordoglio, che non viene del tutto abbandonato, quanto piuttosto vive ‘’una sorte simile a quella delle perversioni studiate da Foucault: di non venire cioè realmente combattuto, quanto segretamente incitato a integrarsi e a congiungersi con la normalità della bellezza, allo scopo di generare nuove ‘’Chimere estetiche’’ o nuovi Centauri’’8.
A cosa conduce tutto ciò? Per Bodei all’impoverimento e alla standardizzazione dell’esperienza, al ritorno di quanto si conosce e dà perciò sicurezza e che conduce ad un virtuosismo fine a se stesso, incapace di generare nuovi linguaggi9.
È davvero votato all’impoverimento dei mezzi espressivi o visivi il volgere lo sguardo al passato? Significa tornare ad un classicismo di accademica derivazione?
Massimo Bontempelli chiarisce che classico non vale come determinazione di tempo, ma come categoria spirituale: << è ogni opera d’arte che riesca ad uscire dal proprio e da ogni tempo>>10 .
Tali sono le esperienze metafisiche di Giorgio de Chirico.
Orientato sin da giovane verso lo studio dell’antichità classica (suo ‘’mentore’’ fu a tal proposito il fratello Andrea, alias Alberto Savinio), trasferitosi a Firenze ebbe modo di approfondire la conoscenza dei maestri del Rinascimento, anche se importante fu il soggiorno a Monaco e il suo avvicinamento ai simbolisti (Bocklin e Klinger), che influenzeranno le sue prime opere metafisiche, in cui emerge la capacità dell’artista di andare oltre le apparenze e saper penetrare nel senso profondo delle cose.
Gli oggetti non si manifestano mai come tali, ma rivelano nel loro esasperato realismo una realtà altra, oltre la quale si cela il mistero ultimo dell’esistenza. Realismo estremo, esistenzialismo e una forte carica simbolica animano le sue opere degli anni ’10, facendo di de Chirico uno degli artisti più ammirati anche nel decennio a seguire.
Ordine razionale: questo irradiano quelle architetture maestose, animate da giochi di luci ed ombre, di spazi chiusi o aperti ad infinitum, costruite secondo il rigore razionale di un Piero della Francesca, in cui ogni corpo geometricamente costruito e ivi disposto si carica di un significato enigmatico o secondo calcolate prospettive di albertiana memoria.
Arrigo Soffici è forse colui che meglio riesce ad interpretare l’arte di de Chirico: scriverà infatti su Lacerba nel 1914 ‘’ La pittura di de Chirico […] si potrebbe definire scrittura di sogni. […] Egli arriva ad esprimere, infatti, quel senso di vastità, di solitudine, d’immobilità, di stasi. […] Esprime come nessuno l’ha mai fatto la melanconia patetica della fine di una bella giornata in qualche antica città italiana, dove in fondo a una piazza solitaria, oltre lo scenario delle logge, dei porticati e dei monumenti del passato, si muove sbeffando un treno, staziona il camion di un grande magazzino, o fuma una ciminiera altissima nel cielo senza nuvole’’11.
Come chiarirà l’artista nei suoi Noi metafisici ‘’è la soppressione del senso che apre lo spazio della metafisca’’.
Muove dagli stessi presupposti, ma con soluzioni diverse Carlo Carrà, il quale allontanatosi già dal 1916 dal futurismo e venuto a contatto a Ferrara con de Chirico rimarrà influenzato dalla capacità di quest’ultimo di dar vita a forme pensate piuttosto che viste. Per Carrà tuttavia è importante non disperdere il senso, ma attraverso la loro dimensione materiale aprire la mente alla comprensione della loro dimensione spirituale.
Carrà ha inoltre attraversato le principali tappe dell’arte del primo ‘900, dal futurismo alla metafisica, dal realismo magico di Novecento ai paesaggi di forte impronta naturalista degli anni estremi del regime. Interessanti i percorsi che i due artisti intraprenderanno negli anni Venti volgendo entrambi il proprio stile al recupero dei maestri del passato: de Chirico piegherà l’arte di Raffaello, Tiziano, Dosso Dossi ad una lettura mitica ed allegorica, mentre Carrà si spingerà oltre, inserendosi in quella tendenza primitivista e ‘’preraffaellita’’, volta alla riscoperta dei maestri medievali o pre-umanisti. Il Pino sul mare (1921) mostra la grande capacità di sintesi delle pregresse esperienze: una summa dell’arte carrariana e dunque del percorso della pittura italiana nei primi vent’anni del ‘900.
Primitivismo neomedievale, cubizzante e metafisica dechirichiana si mescolano ad un naturalismo concettuale con un risultato chiaramente neomedievale.
La solidità giottesca della struttura architettonica, che sarà protagonista anche di un altro dipinto di Carrà (Casa abbandonata, 1930), reintroduce nella pittura la volumetria delle forme classicamente intesa12.
L’ordine è stato ormai ripristinato e gli anni Venti ne celebrano la rinascita: la razionalità e solidità pittorica, plastica e architettonica divengono riflesso della rinnovata struttura politica e sociale che reggerà l’Italia nel ventennio a seguire; criteri quelli di razionalità, chiarezza e ordine, alla base di due dei fenomeni più interessanti del ventennio fascista: l’esperienza di Novecento da un lato e Valori Plastici dall’altro, con tutti i diversi fronti che ad esse si aggregano o si oppongono (tra questi il nucleo originario dell’espressionismo romano che ruota attorno alla cosiddetta Scuola di via Cavour).
Novecento e Valori Plastici: il primo con centro propulsore Milano e l’altro con sede a Roma. Due città la cui storia corre parallela e contraria; emblemi di un’Italia che guarda al futuro pur nell’arretratezza generale e col peso di una tradizione che ne limita fortemente le capacità di sviluppo.

1W. Pedullà, Le caramelle di Musil, Milano 1993, in Storia generale della letteratura italiana, vol. XI, Il novecento e la nascita del moderno, parte prima, a cura di N. Borsellino e W. Pedullà, Ed. Federico Motta Editore- Gruppo Editoriale L’Espresso, Milano 2004

2Vedi nota precedente

3A. Savinio, Nuova Encicolpedia, Milano 1977, cit. in ibid.

4S. Gallo. G. Zucconi, Arte del novecento (1900-1944), a cura di Rita Scrimieri, Ed. Mondadori Università, Milano, 2002, pag 183

5Quanto sinora esposto può essere meglio approfondito consultando i saggi Diagramma del Novecento e Avanguardie e Futurismo di W. Pedullà, in Storia generale della letteratura italiana, vol. XI, pagg. 6-7, 34-35, 46-47, 56-59, 138-149

6J. Clair, Sul realismo magico, in Realismo magico, catalogo della mostra a cura di M. Fagiolo dell’Arco , Verona, Galleria dello Scudo, novembre 1988-gennaio 1989, Ed. Mazzotta, Milano, 1988, pag 23

7R. Bodei, Le forme del bello, Ed. Il Mulino Bologna 1995, cit. in Storia generale della letteratura italiana, vol. XI, Il novecento e la nascita del moderno, parte prima

8Ibid.

9Così nel testo: ‘’Altro è quello che invece maggiormente ci inquieta come espressione del brutto e dell’usura del senso, spia –a sua volta- dei rischi di impoverimento e standardizzazione dell’esperienza. È lo squallore dell’insignificante, il piacere regressivo di vedere ritornare quanto già sostanzialmente si conosce e dà perciò sicurezza, la martellante ripetizione del sempreuguale nella fantasmagorica apparenza del semprediverso, il trionfo della banalità e della chiacchera, lo stordimento mentale […], il virtuosismo fine a stesso, la scarsa efficacia di molti tentativi di far nascere nuove forme di espressione. Sarebbe però segno di semplicistico catastrofismo credere […] all’ennesima ‘’morte dell’arte’’.[…] Il bello tiene sempre in serbo la sua ultima arma: la sorpresa’’

10Cit. in Piccola storia dell’Italia artistica nel primo ‘900. Dal Futurismo all’Astrazione attraverso i realismi di Novecento.

11A. Soffici, articolo apparso sulla rivista Lacerba, 1914

12Cfr. S. Gallo, G. Zucconi, Arte del novecento (1900-1944), pag. 257