TONDELLI RACCONTA FIRENZE

Pier Vittorio Tondelli

Come appariva Firenze intorno alla metà degli anni ’80? Pier Vittorio Tondelli ce ne offre ”un’immagine, un fotogramma, una descrizione”, mettendo in rilievo il mutamento della città che avviene di pari passo con una staticità storica e atemporale, felice connubio di passato e presente, che rendeva, come tutt’oggi, la città una meta ambita per turisti ed artisti, fonte di ispirazione e innovazione. L’occhio osservatore e lo spirito indomito di Tondelli, pur con il suo mettersi al di là degli eventi, non tralasciano di cogliere lo spirito vivo che anima le città. La sua riflessione si spinge al punto tale da creare curiosi e pienamente vissuti scenari con la sua penna perfetta, scorrevole e a tratti umoristica. Nato a Correggio nel 1955 ha svolto per anni attività di giornalismo, scrivendo per le più importanti testate giornalistiche (basti citare La Repubblica, Il Resto del Carlino e Flash Art) e di critico letterario, attività che lo porterà negli anni all’elaborazione di due importanti progetti: Under 25 e Panta. Sagace, spietato, disperatamente umano, Tondelli, con la sua attività, ha saputo narrare un tempo, una generazione, un Paese spostando il discorso lontano dai grandi contesti della macro-storia per concentrarsi sul ”piccolo mondo antico” e postmoderno della provincia, col suo intricarsi di vite e contaminazioni tra ciò che sempre fu e ciò che è allora, nel suo tempo, ossia durante quegli anni eccentrici, bruciati dall’esasperazione di vivere il proprio tempo per bloccarlo in un attimo senza Storia. Quegli anni ludici ed edonistici, anni di sperimentazioni, di ricchi e poveri, giovani e anziani in rotta di collisione. La ribellione assopita e il tradizionalismo radicato nelle cittadine vissute nelle piazze e lungo le strade direzionate verso l’imprevedibile punto di ritrovo del contesto di rottura. Gli anni di Tondelli scorrono al ritmo di un week end che ”si accascia nel cuore della notte” sparendo per lasciare spazio ad un nuovo già vissuto, ma diverso dal precedente. Tondelli ha finito per divenire il mito di una generazione, punto di riferimento di una letteratura relegata al provincialismo o volutamente giudicata, a causa anche delle posizioni apertamente politicizzate dello scrittore, ”di nicchia”. Un’attività breve, interrotta bruscamente nel 1991 dalla morte prematura e improvvisa di Tondelli, affetto da AIDS, intensa. Ci si può chiedere come oggi essa si sarebbe sviluppata rapportandosi ai nostri tempi; come il tacito e ironico osservatore Tondelli avrebbe concepito, descritto e sommessamente criticato questo tempo di perdite, di mancate identità, relazioni.

Il passo, tratto da ”Un week end postmoderno”, serve a rilevare proprio l’abilità di Tondelli di scivolare negli anni e immortalarli, rapportando il passato e il presente, evidenziando che accanto alla memoria sussiste il progresso e che il connubio (incarnato proprio da Firenze) può essere fecondo e gradevole. Nella parte finale, non riportata nel brano che segue, Tondelli racconta attraverso il susseguirsi di anime, l’avanzare di un tempo che scandiscono il tempo negli anni e nelle ore quotidiane di una piccola metropoli, fucina di creatività e saper rinnovare il suo passato.

”Scendendo a piedi, in un tiepido pomeriggio primaverile, dal Forte Belvedere fino a Porta Romana, attraversando i giardini, l’Orto Botanico, passando dal retro di Palazzo Pitti, stendendomi al sole di fronte alle quinte di alberi in fiore di Boboli, avrei avuto un’immagine della città, Firenze, molto simile a quella turistica di certe gite scolastiche e quindi un paesaggio e un’architettura naturale assolutamente esteriori, non vivibile nella quotidianità; un’esperienza estetica confinata nella teca di cristallo del ricordo, una parentesi ritagliata dal ritmo della vita di tutti i giorni, che solitamente non comporta né bellezza né felicità.

Anni dopo, compiendo un’altra discesa fiorentina […] Firenze si sarebbe dispiegata come l’immagine dell’Occidente, un Occidente avviato inesorabilmente verso la morte, cinto d’assedio dalle popolazioni dei continenti poveri, degradato da quell’identico disfacimento già così tangibile, palpabile come un affronto, in certi quartieri di Londra o di Parigi o di Bruxelles…

Ma, a differenza di altre città, solo Firenze…avrebbe saputo darmi anche la consapevolezza di quella fine: l’immagine di un cimitero, cioè, in cui, in luogo della mineralizzazione dei corpi, erano gli stessi edifici, le opere d’arte del nostro passato, la nostra storia a sbriciolarsi e a scomparire. E allora nella notte, le facciate illuninate di Santa Maria Novella, San Miniato, il campanile di Palazzo della Signoria, la grande cupola di Brunelleschi, Orsanmichele, il campanile di Giotto, i tetti di certi edifici vetusti e rigonfi di aristocrazia e passato e nobiltà, le logge, i contrafforti e i bugnati, altro non mi sarebbero apparsi che pietre tombali, monumenti ai quali si accendono le torce e le luci votive, come si fa nei campisanti divanti ai ritratti dei morti.

Oggi Firenze mi appare come la più vitale fra le città italiane […], ma che immagine abbiamo oggi, al di là dei vissuti e delle esperienze personali di questa città?

[…] C’è la Firenze capitale europea della cultura che promuove spettacoli, mostre e convegni di elevato interesse culturale. C’è la Firenze dei ”saranno famosi” in Borgo Santa Maria, dove Vittorio Gassman dirige quella Bottega dell’Attore in cui transitano promesse per i nostri palcoscenici e una fauna variopinta di ragazzi, di varia estrazione e provenienza, si rinchiude per dedicarsi, monacalmente, al mestiere più folle che esista, quello della perdità di identità. C’è la Firenze del turismo giovanile railpass e carte di credito, come ce l’ha raccontato David Leavitt in un episodio di Ballo di famiglia, una Firenze stracolma di giovani che bazzicano fra la stazione e Piazza della Signoria come per le strade californiane. C’è una Firenze meta di un particolare jet set omosessuale di doppio segno che trova, da un lato, in Radclyffe Hall e, dall’altro, in Oscar Wilde, i propri numi tutelari; una Firenze dunque che non estinguerà mai il proprio mito dandy. C’è una Firenze del delitto, del mistero e del rigurgito terroristico, con gli sventramenti in luna piena, gli accoltellamenti al parco delle cascine e l’agguato mortale all’ex sindaco Lando Conti. C’è una Firenze che osserva i riti dei caffè letterari e delle riviste d’inizio secolo, la Firenze degli scrittori che rinverdisce con la nuova generazione dei trentenni: da Monica Sarsini, autrice di Crepacuore… e da Giorgio van Straten, accolto nella scuderia Garzanti… c’è la banlieu fiorentina dei film di Francesco Nuti, dei Giancattivi e di Cinthia Torrini. C’è la Firenze internazionale delle avanguardie teatrali, dei laser portati sull’Arno dai Krypton, delle tragedie contemporanee e barbare dei Magazzini Produzioni; la Firenze squallido-sublime degli spettacoli pinteriani di Carlo Cecchi al teatro Niccolini. C’è la Firenze della moda, di Pitti Uomo e Uomo Italia, la Firenze che impazzisce per le serate mondane, gli inviti ai balli, ai cocktail, alle presentazioni, alle collezioni, alle sfilate, agli happening, soprattutto se organizzate da principesse e contesse e marescialle. C’è la Firenze della progettazione ambientale e del design, di Vittorio Savi e Anna Mari. C’è la Firenze disinibita dei progetti dell’ex regista Rostagno, che lo scorso anno ha portato le stoffe e gli abiti Fortuny nelle sale di Palazzo Strozzi. C’è la Firenze efficiente dei progetti speciali di Westuff, i cui componenti sono, da almeno un paio di anni, i principali sovvertitori di tutto ciò che bolle nel campo della creatività giovanile. C’è, allora, la Firenze dei gruppi rock e indipendenti, degli ormai storici Liftiba e Diaframma, Rinf, Soul Hunter, Dennis & The Jets, Neon, Esprit Nouveau, Les Enfants Terribles, Sybil Vane, Danseur Boxeut ecc.; la Firenze delle etichette indipendenti… delle gallerie d’arte, Skema, per esempio, o Vivita, dove lo spazio è intelligentemente gestito come un punto di ritrovo, come un club dove puoi sorseggiare birra, passeggiando per i saloni d’esposizione. C’è la Firenze elettronica della computer art dei Giovanotti Mondani Meccanici cui si deve l’ultimo riuscitissimo videoclip di Teresa De Sio. C’è la Firenze di Villa Romana, dove i giovani artisti tedeschi soggiornano e lavorano sotto la direzione di Katelin Burmeister; la Firenze di certi artisti nuovi e già affermati, come Lorenzo Bonechi, Fabrizio Corneli e, fra gli scultori, Carlo Guaita, Antonio Catelani… c’è la Firenze degli stilisti […] che rendono l’atmosfera della città assolutamente metropolitana ed entusiasmante […].

cogliere allora in un’unica, sintetica, immagine, in un fotogramma, in una descrizione, il ”senso” di questa città è impresa impossibile. Firenze è una grande capitale della cultura ma, a differenza di altre città, in essa è ancora possibile rintracciare e vivere qualcosa che le altre città, o metropoli, hanno perduto, o forse, nemmeno lontanamente, hanno mai avuto: il centro…”.

[1986]

Veduta di Firenze

-Alessio Celletti

fonte immagini: web

testo: ”Un week end postmoderno” di P.V. Tondelli, ed Bompiani