IL MISTERO DEI DIPINTI DI CASTELSEPRIO

Quello di Castelseprio (Varese) è un mistero che da anni cattura l’attenzione degli storici dell’arte. In particolare è la piccola chiesa, oggi sconsacrata, di Santa Maria foris portas, sopravvissuta alla distruzione del borgo avvenuta nel 1287 per ordine di Ottone Visconti, ad appassionare i ricercatori a causa di alcune peculiarità. Prima fra queste la pianta della chiesa, la quale, con la sua unica navata attorno alla quale aprono tre absidi e preceduta da un portico rettangolare, rappresenta un caso raro in Occidente; in secondo luogo l’affascinante ciclo di affreschi conservatisi nel tempo. Questi, composti su due registri, narrano le vicende relative alla Natività di Cristo, concludendo con la raffigurazione del Giudizio universale collocato nella controfacciata dell’arco trionfale. Essi scorrono da sinistra a destra, per quanto concerne il registro superiore e in senso opposto le storie di quello inferiore. Secondo gli studiosi la scelta del tema avrebbe un fine religioso preciso: quello, cioè, di rivendicare il dogma dell’Incarnazione, ossia dell’unicità della natura umana e divina di Cristo. Ciò troverebbe conferma proprio nell’affresco del Giudizio laddove appaiono un trono vuoto sovrastato da una croce, emblemi del trionfo e del regno spirituale del Cristo e della sua sofferenza umana, testimonianza della vittoria della vita sulla morte. Ciò ha portato gli studiosi ad ipotizzare una provenienza orientale dell’artista. Tuttavia il dibattito è ancora aperto e lontano dal chiarirsi, ma gli elementi che è possibile ricavare dalla lettura e osservazione dei dipinti sembrano confermare tale ipotesi. Resterebbe da chiarire come e, soprattutto, le motivazioni che spinsero l’anonimo artista in un borgo come Castelseprio, che, comunque, costituiva all’epoca un crocevia molto importante della rotta commerciale milanese. Forse un artista itinerante, ma la vicenda è sicuramente lontana dal chiarirsi.

È evidente che la vicenda narrata nei dipinti derivi non dalla tradizione evangelica occidentale, ma faccia riferimento ai testi apocrifi assai diffusi in Oriente. Sulla base delle datazioni ipotizzate intorno alla loro realizzazione è possibile recuperare il testo di riferimento. Anche per la datazione le incertezze e le questioni poste sono molte. Generalmente si è concordi nel collocarli intorno al VII secolo; un’iscrizione, tuttavia, rinvenuta nella chiesa, farebbe riferimento a Arderico, vescovo di Milano tra il 936 e il 948, dunque spostando la datazione al X secolo. Quest’ultima ipotesi troverebbe sostegno nelle fonti, in quanto le storie narrate nel ciclo sembrerebbero derivare dal cosiddetto Vangelo dello Pseudo-Matteo, a sua volta rifacente al Protovangelo di Giacomo, assai diffuso in epoca carolingia fino, appunto, al X secolo. Chiarificatrice in tal senso è la raffigurazione sulla Natività e annuncio ai pastori, che verrà a breve analizzata.
Nella parte superiore sono inserite le scene:
Annunciazione e Visitazione: l’angelo appare alla Madonna che, intimorita, lascia cadere la brocca ed interroga l’angelo circa il concepimento. Da notare la bellezza delle morbide linee e del volto serafico, quasi femmineo, dell’angelo, la cui postura e la veste corta (almeno da come ci appare) riecheggiano nell’iconografia quella di Ermes, il messaggero degli dei. La simbologia è fondamentale e nel caso in questione: la mano benedicente dell’angelo (nel gesto tipico nell’iconografia cristiana a sua volta ereditato dalla romanità) e la luminosa aureola della Vergine. I colori divergenti di questa rispetto a quella dell’angelo valgono a sottolineare il distinto ordine gerarchico secondo uno schema tipicamente bizantino. Dietro la Vergine sta una serva, la stessa che riferirà in seguito a Giuseppe che nessun uomo si avvicinò mai a lei durante la sua assenza. Segue la visita di Maria a sua cugina Elisabetta, inserita unitamente alla precedente.
Annunciazione e visitazione, Castelseprio
Prova delle acque amare: scoperta la gravidanza, Giuseppe conduce Maria al tempio per sottoporla ad una antica usanza, ampiamente diffusa in Israele, secondo la quale se una donna fosse stata sospettata di adulterio le acque le avrebbero procurato dolori tali da rivelare il misfatto. L’acqua amara altro non era che acqua santa mescolata con polvere raccolta nel tabernacolo del tempio. Il sacerdote, poi, recitava una formula scritta su un supporto che veniva fatto sciogliere nell’acqua.
Prova delle acque amare, Castelseprio
Sogno di Giuseppe: Titubante circa quanto raccontato da Maria, Giuseppe è in procinto di abbandonarla fuggendo. L’angelo gli appare in sogno e gli rivela che quanto raccontato da Maria è vero.

Sogno di Giuseppe, Castelseprio
Andata a Betlemme: L’imperatore Tiberio ordinò in quell’anno un censimento di tutti i sudditi dell’Impero. Giuseppe decise allora di censire anche la sua famiglia e si recò a Betlemme portando anche Maria e il suo primogenito, il quale guidava l’asino. Durante il tragitto l’uomo notò l’espressione prima felice e poi rammaricata della giovane che, alla richiesta di spiegazioni da parte dell’uomo, rispose: ” Vedo due popoli davanti a me: uno che piange e l’altro che ride”. Poi Maria chiese di fermare l’asino perché il tempo era giunto e trovò rifugio in una grotta, mentre Giuseppe corse a cercare una levatrice”.
Andata a Betlemme. Castelseprio
Nel registro inferiore:
-Natività e annuncio ai pastori: è questa la rappresentazione apertamente ispirata ai Vangeli apocrifi. In un’unica scena sono raccolti diversi episodi: la nascita di Cristo in una grotta illuminata da una nube lucente su cui è stesa la Vergine. L’episodio relativo alla prova di Salomè, una levatrice, la quale, incredula rispetto a quanto narratole da Zelomi (la prima levatrice incontrata da Giuseppe, che nella variante arabo siriana viene indicata come la celebre Eva biblica) circa la verginità di una donna che aveva appena partorito un bambino divino, decide di testare la verginità della sconosciuta toccandole i genitali e: ”Maledizione alla mia empietà e alla mia incredulità! Poiché ho messo alla prova il Dio vivente, ecco la mia mano si stacca da me arsa dal fuoco!”[Protovangelo di Giacomo]. Apparve allora un angelo (a malapena visibile sopra il capo di Salomè) che invitò la donna a sollevare il bambino e lodarlo. A questo punto la scena si sposta verso le due donne in primo piano, intente a lavare il bambino. Subito dopo il primo prodigio: la guarigione della mano della levatrice incredula. Gli speroni di roccia che fanno da parete alla grotta segnano la divisione tra la scena della Natività e quella dell’Apparizione ai pastori. Per leggerla correttamente bisogna tornare all’episodio in cui Giuseppe esce a cercare una levatrice. Nel Protovangelo è lui stesso a narrare in prima persona di una strana visione: il tempo sembrò fermarsi e tutti gli uomini e le bestie in procinto di agire erano immobili. Ugualmente alcuni pastori narrarono che udirono nella notte un cantare angelico che annunciava loro la nascita del figlio di Dio avvenuta in una grotta.
Natività e Annuncio ai pastori
Le altre due scene restanti sono relative alla Visita dei Magi e alla Presentazione al Tempio. Altre tre scene sono andate, invece, perse.
I dipinti sono straordinari per la delicatezza dei toni, la morbidezza dei modellati delle carni, delle vesti che cadono fuenti, le forme così sottili e curvilinee. Il tradizionale schema frontale e rigido viene sacrificato a favore di una linea sinuosa e articolata ben lontana dalla fredda ieraticità delle pitture contemporanee. Il moto concentrico di alcuni elementi e sfondi è di chiara derivazione orientale legata al pensiero di un moto circolare verso l’alto contrapposto al pensiero occidentale della linearità e del moto retto, che emerge, in entrambi in casi, nelle architetture. Una libertà compositiva anomala nel panorama della pittura murale, trovando, invece, riscontro nella miniatura. Da rilevarsi il tentativo di creare un effetto spaziale e prospettico che doni profondità alle figurazioni e l’attenzione ai particolari delle vesti o, nella scena del Sogno, all’abilità nella realizzazione del panno legato alla colonna, nella decorazione dei capitelli.
Le questioni sono molteplici e le ipotesi infinite. Per quale motivo un ciclo di affreschi così scostante rispetto alla lettura tradizionale fu mantenuta in un’area indipendente dall’orbita di influenza diretta bizantina? Perché la chiesa fu salvata dalla distruzione del borgo?
Non si può negare il talento dell’artista e la stupefacente realizzazione di un ciclo avvolto nel mistero. Un caso anomalo nel panorama altomedioevale italiano, una perla nella storia intricata della cultura artistica occidentale.

-A. Celletti

fonte immagini: web