BILL VIOLA, TRA PASSATO E PRESENTE

-IL PASSATO IN LINGUAGGI ULTRAMODERNI

I sincretismi sono forse utopie o miracoli fantascientifici? L’arte ha spesso mostrato come in essa non esistono barriere, distinzioni di genere, razza o qualunque particolarità che possa differenziare un artista da un altro se non sulla base dei particolari gusti o visioni di ciascuno. L’Arte pone al centro l’Uomo e l’artista in quanto tale. Essa prende tutto ciò che ritiene ideale al suo canone di estetica sublimata, di filosofia del pensiero e delle emozioni e crea e distrugge e corregge, fino a quando non sarà soddisfatta del risultato. L’artista rappresenta le sue mani, i suoi occhi. I letterati la sua mente. L’universalitas mundi trova compiutezza in essa nella sua parte migliore, quella che potremmo definire evangelica, nel senso squisitamente laico del termine, perché l’Arte è uguaglianza, è libertà, è ribellione ad uno status quo che reprime, è comunione di mezzi, espressioni e di vite. Un dipinto parla a Tizio, a Caio, a chiunque di qualsiasi parte del mondo e vuole educarlo, istruirlo, vuole invitarlo a condividere il pasto della Ragione. Nel caso specifico dell’arte contemporanea il muro che essa pone (nei suoi migliori interpreti) è la sfida, che va ben oltre la semplice provocazione e si tramuta in uno scontro diretto tra visionari e i suoi interferenti. Essa obbliga all’introspezione e a proiettare la visione oltre il contingente, riesumando miti e passati patrimoni, con il fine ludico di esercizio mentale, di fissare nella memoria, dimostrare come l’arte di oggi non sia solo stravaganza, ma frutto, alle volte, di profonde analisi e studi. È il caso di Bill Viola(n.1951). Formatosi presso i due maggiori rappresentanti (Bruce Nauman e Nam June Paik) di un genere che domina oggi la scena artistica, la videoarte, Viola riesce a farsi assai presto strada come artista indipendente. Di origini italiane, il legame con il Bel Paese è talmente forte da spingerlo, nel 1975, a soggiornare a Firenze, dove frequenta il Art/Tapes/22, uno dei maggiori centri europei di studi sul video. Nel ’77 l’incontro con Kira Petrov, che da allora diventa la sua più stretta collaboratrice e che sposerà l’anno dopo seguendolo, nel 1980 nel viaggio asiatico intrapreso da Viola, con un soggiorno di sei mesi in Giappone. Non si tratta di meri dati biografici, ma tappe significative nel processo formativo del pensiero di Viola: il soggiorno fiorentino molto probabilmente gli offrirà lo spunto per approfondire, attraverso l’esperienza diretta, lo studio delle opere dei grandi Maestri dell’arte nostrana, parte integrante del suo lavoro (che da questo punto di vista può considerarsi molto europeo nei contenuti), mentre in Asia ha l’opportunità di conoscere il fascino della cultura buddista e zen, presente nei ritmi rilassanti, calmi e trascendentali dei video, nell’intreccio di filosofie sull’origine prima delle cose, legate ai quattro elementi e nel ciclo eterno di vita e morte. Viola è un maestro di sincronismi: maneggia la tecnica video sapendola orientare con un realismo disarmante, merito delle tecnologie ultra-avanzate a cui ricorre, in cui ”le singole immagini di fedele riporto si animano, scorrono nei tempi continui, nell’azione cinematica che si può ottenere coi videotape1. Le scene celebri di un nostro Pontormo vengono ripercorse, rianimate, rioccupate da personaggi colti in presa diretta, dalla nostra scena quotidiana, vestiti di abiti che non potrebbero essere più normali e scontati. C’è insomma una collimazione, una coincidenza tra il prosaico-quotidiano e il mitico. I due momenti sono chiamati ad inverarsi, a rafforzarsi reciprocamente”2.

Una produzione vasta. Non si distacca mai dal filo conduttore degli opposti che a detta dello stesso artista lo affascinano. Perché rappresentano il lato più vulnerabile della personalità umana. ”Emersioni” si presenta come il ciclo completo che dalla nascita (emergendo dall’acqua, materia prima della vita) porta alla morte. Viola lo descrive fondendo in unicum visioni ampie e contrapposte. La già citata vita-morte, passato e presente. Un ciclo spazio-temporale che ha la sua ragion d’essere nell’annullamento visivo di qualsivoglia sfondo. L’attenzione è alla scena (ripresa da un’opera di Masolino da Panicale, Cristo in Pietà, 1424). Culmina nella celebrazione iconografica della ”Deposizione” come l’arte ce l’ha consegnata nel tempo. (The Greeting, 1995)

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Fire Woman and Tristan’s ascension” (2010)si tramuta in un surreale e lento ritorno all’origine. Un ciclo della vita inverso, che vede Tristano, sollevato dal giaciglio, svanire nell’acqua. Conseguentemente un’ascesa della stessa fino alla dissolvenza. In ”The Raft” (2004) un gruppo viene travolto da un getto d’acqua. Simile ad un diluvio universale che li spazza via, con le medesima lentezza e i loro corpi scompaiono e di ricompongono nella loro essenza. Travolti, sconvolti (un richiamo alla scena simile affrescata nella Sistina da Michelangelo?).
Elemento fondamentale nei suoi lavori è la musica. Si ricordi la collaborazione col compositore David Tudor. L’artista se ne occupa personalmente, anche a livello di produzione video (come i tre video realizzati per i Nine Inch Nails). Riconoscendo probabilmente l’impatto emotivo e il potere catartico della stessa, Viola la adatta alla qualità eccelsa delle immagini virtuali, sicché nulla è lasciato al caso o trascurato.
Una lunga carriera, coronata da innumerevoli premi. Nel ’95 riceve dalla University of Syracuse di New York, dove si era laureato, la prima laurea ad honorem. Lo stesso anno parteciperà con la serie Buried Secrets alla Biennale di Venezia). Grandi collaborazioni (l’adattamento del Tristano e Isotta di Wagner, insieme a Peter Sellar). Un artista che porta avanti con coerenza la sua visione. Che riesce ad immergere l’osservatore in quelle atmosfere visivo-realistiche che lo assorbono. Si entra in una nuova ottica. Quella della filosofia di Viola, in cui il sincretismo postmoderno trova perfetta compiutezza.

1Il videotape è una videoregistrazione

2R. Barilli, Prima e dopo il 2000, La ricerca artistica 1970-2005, ed. Feltrinelli, Milano 2006, pag 120-121