”QUO VADIS?” non è solamente un film!

Locandina del film diretto da LeRoy nel 1951

”Credo non sia mai esistito uno scrittore di second’ordine tanto di prim’ordine.

E’ un Omero di seconda categoria, un Dumas padre di prima classe”

W. Gombrowicz

Quo vadis?” non è solamente un film!

Il celebre colossal del 1951 diretto dalla magistrale mente di Mervyn LeRoy è una trasposizione su pellicola dell’omonimo romanzo dello scrittore pollacco Henryk Sienkiewicz (1846-1912) che valse allo scrittore il nobel nel 1901.

Un romanzo reso grandioso, in parte, dalla prosa scorrevole, capace tuttavia di raggiungere vette di autentica poesia nei momenti descrittivi di maggior pathos.

C’è un altro aspetto, assai maggiore, che concorre a rendere ”Quo Vadis?” un romanzo da leggere; questo non è tanto la vicenda sin troppo banale dei due protagonisti, di Licia, giovane principessa sveva condotta in schiavitù a Roma e condannata a servire come ancella presso la corte di Nerone e del condottiero romano Marco Vindicio, nipote di Petronio (proprio quel Petronio autore del celebre Satyricon ) e austero uomo pagano che, dopo aver ceduto dinanzi alla bellezza pudica della povera Licia, decide, come illuminato sulla via di Damasco, di convertirsi.

Licia e Vindicio si potrebbe definirli i Renzo e Lucia dell’antica Roma: stesse traversie, drammi, morti, separazioni violente e rapimenti.

Una storia già raccontata, tanto che non si potrebbe non concordare con Witold Gombrowicz, il quale nell’introduzione al romanzo non trascura di avvertire il lettore: <<Lettura tormentosa. Pensiamo: è troppo dozzinale, e andiamo avanti. Diciamo: ma questa è robetta da poco, e non riusciamo a staccarci dalla pagina. Esplodiamo: opera insopportabile!, e continuiamo a leggere ipnotizzati.

Genio potente!>>

Tralasciando la sdolcinata storia e tutta la questione religiosa farcita da una retorica degna del tempo dell’autore, infatti, il vero leitmotiv trainante è da rintracciarsi nel contesto che dovrebbe fare da cornice alla triste storia di Licia e Vindicio: la Roma fastosa e sanguinaria di Nerone.

Sienkiewicz descrive con dovizia di particolari i luoghi, racconta con dettaglio gli eventi cardine di quel periodo segnato da scontri, congiure, intrighi e spargimenti di sangue, eventi che si susseguono quasi impercettibili e che culminano nel tragico e, a suo modo, spettacolare incendio di Roma.

La Storia si interseca alle vicende e le influenza, ma non le condiziona in maniera diretta.

Sienkiewicz riesce a mescolare la Storia con le azioni quotidiane, con i pettegolezzi, con la vita di una città che in breve precipita nel terrore, nella quale anche pensare è fonte di terrore.

La Storia scorre travolgendo uomini, donne, culture, poteri.

I protagonisti vivono le loro vicende ignari del portato di quelle azioni che sembrano sconvolgere le loro uniche esistenze.

Le vite in una Roma in cui l’imperatore sopravvive offrendo lo spettacolo dei giochi gladiatori e offrendo come vittime i cristiani.

Pietro e Paolo tengono i loro incontri nelle segrete delle catacombe disseminate alle periferie delle città e finiscono anch’essi col cadere sotto i colpi di un folle Nerone.

Le congiure dei Pisoni aprono la stagione di un intenso bagno di sangue che non risparmia nessuno, neppure Seneca e quel Petronio di cui Nerone, nel romanzo, prova timore e riverenza, nonché invidia.

Al furor classico si contrappone la riflessività e la pacatezza cristiana.

All’odio e alla fame di sangue dei romani fa da riscontro l’amore e la carità dei cristiani.

Le vicende corrono parallele sino a mescolarsi nel momento stesso in cui la dinastia giulio-claudia sembra perire sempre più affossata, oltre che dalla lucida follia di Nerone, dalla nascita e dal diffondersi tacito del nuovo credo cristiano.

È un romanzo strutturato per schemi, in cui alle cattive azioni di una parte si oppongono le buone azioni dall’altra.

Un grande romanzo storico, un affresco di uno spaccato di impero che, seppur all’apogeo si avvia inesorabilmente ad un lento e sanguinoso tramonto.

-Alessio Celletti