DENTRO L’OPERA: ”CROCIFISSIONE” di Renato Guttuso.

R. Guttuso, ”Crocifissione”, 1941, olio su tela, 200x200cm, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna (fonte foto: web)

”Crocifissione” è una tela di grandi dimensioni (200×200 cm) dipinta dal celebre pittore siciliano Renato Guttuso nel 1941 e conservata oggi presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma.
L’opera suscitò scalpore e sgomento, non già per il tema raffigurato, bensì per come essa fu reinterpretata dall’artista, tanto da essere inizialmente respinta nel 1942 in occasione della quarta edizione del Premio Bergamo. Essa fu, infatti, giudicata volgare, una provocazione che minava la cultura e la fede nostrane. La diatriba fu accesa, ma alla fine l’opera fu ammessa aggiudicandosi il secondo posto.

Perché essa fu oggetto di tanta avversione?
Ad una prima visione risaltano immediatamente alcuni elementi che esulano dalla tradizionale iconografia del genere. In primo luogo la disposizione delle tre croci, non più allineate e frontali, ma disposte trasversalmente. Il volto del Cristo non è visibile, ma coperto dalla croce antistante e riconoscibile dal drappo bianco e dalla corona di spine che reca sul capo. Ai piedi della croce non più la Madonna e San Giovanni, ma la Maddalena, la quale, completamente nuda, cinge il corpo esanime del Cristo. L’intera scena sembra oscillare in una dimensione senza tempo, ove passato e presente rievocano e condannano la storia ad un suo ripetersi e al contempo al superamento della stessa, dei suoi valori, in un continuo perpetrarsi di torture e sofferenze, coi suoi meschini giochi di forza e oppressione.
Secondo un’interpretazione meramente personale, proprio il divario forza-sottomissione e dominio-resistenza sembrano costituire il tema di fondo che sottende alla raffigurazione. Proiettata in una dimensione atemporale (così si giustificherebbe, a detta dell’artista, la nudità delle figure), la scena viene dominata dalla centralità delle croci: i capi reclini degli sconfitti e dei vinti vincitori assegnano profondità e forza interpretativa di notevole spessore simbolico: al candore del corpo di Cristo e del condannato retrostante fa fronte il cadavere del terzo soggetto, rosso nelle carni: un diavolo senza possibilità di redenzione, situato nella sezione in cui la diagonale si indirizza verso il basso, isolato rispetto alle altre figure. Alla spinta verso l’alto e direzionale al paesaggio sullo sfondo delle due croci e dei corpi addolorati delle due donne fa riscontro il moto opposto della croce voltata che suggerisce una spinta verso il basso. La stessa collocazione dei due paesi su diversi piani sembra richiamare ipoteticamente l’Inferno e la città di Dio, mentre i cavalli in primo piano mettono in luce la contrapposizione tra il male che si lascia sottomettere e la fierezza e purezza del maestoso equino che appare rifiutare quanto offerto dalle mani del soldato.
L’episodio evangelico viene pertanto trasposto nel presente ed universalizzato come dramma in perpetuo essere al quale tuttavia Guttuso (fervido comunista) invita a non sottostare, ma a resistere: i pugni chiusi dei crocifissi ne sono l’emblema e il messaggio più evidente. Il gesto della lotta, della resistenza, in un tempo oscuro (sono i difficili anni della guerra) in cui la dignità e la fede sono calpestate e il male ha il sopravvento. Si concorda, pertanto, con il De Luca nel rilevare presenza alcuna di blasfemia, bensì un nuovo umanesimo in fieri, l’auspicio che da quel contemporaneo ed antico testamento possa un giorno riprendere l’umanità tutta consapevolezza della propria coscienza e riscoprire in tempi nuovi le antiche radici.
ASPETTI TECNICI:
nel complesso l’opera presenta una serie di influenze disparate. La più evidente è quella picassiana, ravvisabile in quella costruzione dei corpi squadrati e spigolosi. Forte è anche il richiamo all’opera di Cèzanne, riscontrabile nel tavolo in primo piano, in particolare in quella costruzione prospettica ribaltata che conferisce alla scena un senso dinamico e rotatorio. Anche le case (che potrebbero richiamare nella collocazione anche alcune tavole medievali) hanno nel complesso un’impronta cèzanniana. Da ultimo i colori: le forti tonalità così definite e ben evidenti nella loro netta stesura hanno, in quello stemperarsi lieve e quasi velato, un riferimento manierista e post-impressionista. Un espressionismo declinato in diversi percorsi dell’arte. L’universalità contenuta nel messaggio della rappresentazione trova così riscontro e fedeltà anche nella tecnica.

-A. Celletti