OLIMPIA PINO (www.olimpiapino.wordpress.com

O. Pino, Il viaggio, olio su tela, 50×70 cm, 1994, courtesy l’artista

Le opere dell’ artista sono visibili sul sito: https://olimpiapino.wordpress.com

C’è una storia che si compone di immagini. Queste a loro volta sono formate da segni, forme, da luci ed ombre, da colori. Una storia che ne narra altre, ispirate dagli eventi, da esperienze, da emozioni; storie che nascono per istruire, per narrare o più semplicemente per stimolare istinti emozionali e percettivi in chi le osserva. Questa storia non vuole trasmettere verità, ma, a seconda dei punti di vista, vuole trasmettere percezioni.

Olimpia Pino  (www.olimpiapino.wordpress.com) ha scelto la pittura per raccontare la sua storia e renderla, attraverso gli strumenti che l’arte le mette a disposizione, universale.

Accantonata per diversi anni, durante i quali si è dedicata allo studio e poi alla sua professione di neuroscienziata, l’artista ha deciso di rispolverare quella che per lei non è mai stato un hobby, ma una vera passione, un impegno attraverso il quale esprimersi, attraverso la quale <<superare i limiti intellettuali>>.

Tra questi limiti superati c’è la rivalutazione di un forte legame tra arte e scienza, del loro porsi l’una in funzione dell’altra e soprattutto la capacità di saper mettere a frutto le esperienze maturate nel corso degli anni, che l’hanno vista confrontarsi con diverse realtà: tutto questo emerge nella sua pittura, teatro di sperimentazione di una vasta gamma di stili, tecniche, tematiche, da quelle più intimistiche a quelle sociali.

Una pittura, quella di Olimpia Pino che spazia dalle forme astratte al recupero di un’organicità declinata talora in naturalismo e in altre in espressionismo.

Nell’intervista che segue l’artista racconta se stessa e la sua arte, non mancando anche di approfondirne alcuni aspetti scientifici e culturali legati all’emergere di nuovi orizzonti e al mutamento del contesto sociale.

La prima è una domanda che rivolgo sempre agli artisti con cui dialogo. Come definiresti te stessa come persona?

Questa è la domanda più difficile, ti puoi definire sotto tanti aspetti, interiore, sociale, professionale, estetico, quello che per te conta di più. E questa è già un’opzione. Sarebbe meglio essere definiti da quel che dicono gli altri di te. E poi ci si evolve in continuazione.

Adesso credo di sapere molto meglio chi sono. Essere sinceri con se stessi, a prescindere dal tempo e dalle circostanze della vita, è una delle cose più coraggiose che possiamo fare. Ho sempre saputo di essere una persona che vive per aiutare gli altri ma comprendere questo percorso non è un processo automatico e mi ha messo di fronte a molti ostacoli, cambiamenti, esperienze difficili. Sono convinta, poi, che siano la sofferenza e il dolore a darti tante possibilità di miglioramento continuo. Sono una persona solida, affidabile, lungimirante. Una visionaria.

Nella biografia sul tuo sito  ho letto che hai iniziato a dipingere sostenuta e incoraggiata da tuo padre. In che modo il suo contributo è stato determinante? In che misura gli studi da te compiuti hanno migliorato le tue competenze?

Mio papà era un uomo riservato e silenzioso, dedito al lavoro. Mi ha messo i pennelli in mano insegnandomi la pittura ad olio, quella che tutt’oggi uso prevalentemente e incoraggiando in modo critico i miei progressi; lui era autodidatta e aveva un’impronta realistica, per cui cercava di spingermi verso l’osservazione attenta e la riproduzione della natura correggendo gli errori e i difetti tecnici. Era un uomo mite ma vedevo i suoi occhi brillare quando realizzavo un’opera effettivamente bella ed era soddisfatto quando portavo a casa un premio o un riconoscimento. In questo devo anche ringraziare mia sorella che mi accompagnava in giro per la Sicilia quando ancora non avevo la patente per poter raggiungere luoghi dove si svolgevano eventi ed estemporanee. Il contributo di mio padre è stato importante perché mi ha anche instillato l’amore per la letteratura, soprattutto i classici, così ho imparato ad apprezzare Dostoevskij, Hemingway, Sagan, le figure dei loro personaggi sempre in lotta con le parti peggiori di loro stessi o le grandi sfide umane, i conflitti, le riflessioni sulla connessione con il resto del mondo o sul tema della morte.

Ho compiuto studi scientifici per una sorta di protettiva razionalità che mi ha spinto a tralasciare gli studi artistici dandomi altre opportunità professionali; e, in realtà, non sono affatto pentita, considerando il percorso che ha preso la mia vita lavorativa. Allo scientifico si studiava molto la storia dell’arte che mi ha fornito tante conoscenze e ci si occupava sia dello studio tecnico sia di quello più prettamente artistico. L’ultimo anno del liceo alcuni di noi studenti siamo stati selezionati per un progetto di collaborazione avviato dal nostro docente con il Museo di Messina, adesso Museo Interdisciplinare regionale (MuMe), per la catalogazione delle opere ed io, in quel periodo, ho avuto la possibilità di rappresentare in diverse tavole che ancora conservo alcune opere o dettagli, una bellissima esperienza tra opere di Caravaggio, Antonello da Messina o Montorsoli!

Dalla Sicilia a Siena e poi a Parma. Tra luoghi diversi anche da un punto di vista culturale, che hai vissuto in tre differenti fasi della tua vita e, forse, quelle più importanti. Quanto di questi paesi hai assorbito e in qualche maniera hanno essi influito nella definizione della tua ricerca artistica?

Studiare a Siena sul finire degli anni ‘80 e, successivamente, vivere a Palermo per più di dieci anni hanno rappresentato un distacco dall’ambiente familiare e sociale ma anche il distacco dalla pittura. Avevo deciso, da un lato, di non volere che i miei quadri rappresentassero un hobby perché la pittura è la rappresentazione di te stesso, della tua vita e non può essere limitata a qualche raro momento. D’altro canto, ritenevo che intraprendere seriamente una carriera in ambito scientifico richiedesse tutte le mie energie e il mio tempo; di conseguenza, ho smesso di dipingere.

L’arrivo a Parma nel 2000, dopo le ovvie difficoltà di adattamento anche sul piano climatico, mi ha permesso di consolidare la mia carriera nell’Università. Qui ho dovuto far fronte alle prove più difficili della mia vita e, paradossalmente, proprio da queste è rinato il bisogno di dipingere. La pittura è stata il filo che mi ha tenuto attaccata alla vita. E mi ha permesso di superare i limiti intellettuali per giungere a una sintesi.

Il mio essere siciliana d’origine conta adesso meno di quanto ha contato per giganti come Guttuso, Terruso o Migneco perché si fonde in una cultura più vasta che non aiuta o aiuta relativamente poco a decodificare i tanti enigmi della mia pittura che magari tali resteranno perché appartengono allo scrigno delle esperienze e al ricettacolo affollato dei miei ricordi.

Nei paesaggi più o meno fantastici attuali spesso si avverte il soffio di un vento delle origini (“Altamarea”) anche quando si intuisce che il quadro di riferimento è cambiato profondamente e che mi muovo in uno spettro inventivo che si amplia di continuo (vedi “Ritorno a Itaca”). “Mattanza a Lampedusa” ad esempio, non si riferisce ad una reale mattanza di tonni ma alle morti di profughi e migranti in mare. Penso, infatti, che spostare il punto di osservazione con cui si guarda alle cose favorisca un’apertura mentale che può davvero estendersi nell’immaginare spazi, tempi, altre razze cosmiche. Così gli stili vengono ad armonizzarsi ed acquisire una singolarità densa di spessore, di potenzialità espressiva venendo a costituire l’immutabilità di fondo del mio carattere e della mia personalità.

È possibile dividere le tue opere in due gruppi: il primo lo potremmo definire ”informale e astratto”, mentre il secondo è quello delle opere caratterizzato dalle tele in cui recuperi un figurativo di impronta espressionista.

Partendo dal primo, sostieni che tramite questi dipinti l’intento è quello di rintracciare evocazioni di retaggi primordiali. Un’affermazione condivisibile, se si pensa che l’Informale, nella sua variante materica, si fondava sulla totale distruzione della forma come linguaggio, con il risultato di dare vita a tele riempite di impasti materici. Una sorta di ”brodo primordiale” da cui estrapolare forme edificanti un nuovo codice linguistico e visivo. L’Astrattismo, invece, lascia largo spazio alla fantasia, stimolando l’immaginazione sulla base della ricezione emozionale che ogni individuo prova dinanzi alla tela. A valorizzare il tutto è la componente cromatica.

Da un punto di vista strettamente psicoanalitico come funzione l’interazione tra materia e colore?

Le mie opere sembrano dividersi da un lato verso l’astrazione, la natura, dall’altro verso i sentimenti ma tutto è scambievole nel senso che può presentarsi in qualsiasi momento, ogni volta facendosi connotare con una particolarità di gesto e di forza. Il tessuto connettivo e unificante della materialità e dell’immaterialità è il colore. L’interazione tra materia e colore è mediata dall’immaginazione come pensiero euristico e artistico, quindi abbraccia sia il mondo esterno sia quello interno all’uomo, è promotore della scienza e dell’introspezione.

Quando mi sento spinta a creare è come se accadesse una magia. Una sintesi tra la capacità di trasformare i propri sentimenti facendo combaciare più elementi che investono anche l’aspetto più razionale del pensiero. Perché immaginare vuol dire anche trasformare, forse da un punto di vista psicoanalitico ha una valenza curativa e autorealizzante. Tra parentesi non sono una psicoanalista ma un neuroscienziato, magari dopo si capirà cosa aggiunge questa conoscenza alla mia arte.

Sentimenti, emozioni, passioni, entrano nel contenuto dell’opera d’arte ma, in questa si trasfigurano. Il senso di questa metamorfosi sta nel fatto che i sentimenti s’innalzano dalla sfera strettamente individuale per divenire paradigmi universalizzati.

O. Pino, Il farsi e il disfarsi del pensiero, polimaterico su legno, 40×60, courtesy l’artista

L’artista ritrova a mio parere sotto il sapere oggettivo una realtà più profonda fatta di sensazioni, immagini, emozioni e attraverso il vissuto corporeo noi interroghiamo noi stessi. Qui le sensazioni corporee stanno al centro dell’attenzione, e il corpo non sta in secondo piano, ma è il luogo dove le immagini, i ricordi, i desideri, le emozioni, le parole emergono. Difficilmente si vive nel continuum di consapevolezza, e quindi la vita scorre nella percezione automatizzata di eventi e vissuti. La nostra conoscenza è qualcosa che dipende in maniera essenziale dalla nostra psicologia, dai circuiti del nostro cervello, dalle peculiarità dei nostri organi di senso, dalle strutture della nostra mente che ereditiamo e costruiamo nel contatto con l’esperienza (vedi “Il farsi e disfarsi del pensiero”). I meccanismi psicologici sono competenze fondamentali alla base della matrice del pensiero, delle sue forme non consapevoli e che si situano in un’area intermedia tra biologia e psicologia nei cui meandri è possibile tracciare una probabile genesi del concetto di creatività la cui spinta vitale è uno degli aspetti cardine del funzionamento mentale.

Il secondo gruppo ha principalmente come soggetto la donna. Se sotto il profilo stilistico sembra che esse richiamino la sinuosità delle linee di un Matisse, nell’atteggiamento e nei toni ricordano le figure straniate di Egon Schiele.

Lavori che trasmettono un sentimento di angoscia e alienazione e al contempo quei corpi trasudano una sensualità oscillante tra l’erotismo e la vergogna.

Definendo le tue opere ”le mie creature” sembra tu voglia rimarcare un legame forte, una trasposizione sulla tela di sentimenti, visioni, stati d’animo che ti appartengono, che senti tuoi. Come nascono questi lavori?

La mia pittura è come uno spettacolo che racconta una storia alternando umoralità e razionalismo, sintetizzando il tutto in un ordine costruttivo dove a volte prevale il segno della continuità, del prolungamento, dell’approfondimento mentre in altre prevale la discontinuità, la rottura, la sperimentazione. La mia pittura è intrisa di una forte vivacità, così come di una forte corporeità che supera il momentaneo sempre con una valenza metaforica: le donne cui ti riferisci sono spesso ripiegate su di sé in un atteggiamento fortemente introspettivo, hanno una forte componente autobiografica, pensa ad esempio a “Prima del temporale”. Tutti i corpi sono ascrivibili ad un archetipo, segno dell’impatto originario e originale, e manifestano una grande forza espressiva temperata dai fondi neri o accentuata nei fondi paesaggistici ma sempre capace di definire uno stato d‘animo, una sensualità naturale, persino una misticità (vedi ad esempio “Thorns” e “Ritorno a Itaca”).

In realtà “le mie creature” sono tutte le mie opere, figlie di un procedere mentale e materiale dove le geometrie sono una specie di antitesi, acquisizione della scomposizione spaziale che mettono in risalto la costruttività dell’essenziale come elemento di paragone e di separazione tra un linguaggio puramente emozionale ed una narrativa del dire, vedere, alla luce della mia personalità, delle mie risorse intime, imperscrutabili che mi vengono dall’aver affinato un linguaggio personale, mia proiezione speculare, capace di moltiplicarsi, dilatarsi e proiettarsi in paesaggi astratti, mondi (“Atlantide e Cassiopea”) dove accadono compiute astrazioni separando ma anche saturando perché la realtà della mia pittura è la costituzione di un vedere che si affranca spesso da ogni derivazione fisica per diventare purezza (“Materia in evoluzione”).

O. Pino, Materia in evoluzione, lacche su legno, 40×60 cm, 2016, courtesy l’artista

Di questi tempi, nei quali tutto passa ormai attraverso la Rete e si virtualizza, anche l’Arte ne è rimasta ”imprigionata”, sia sotto il profilo della produzione che della rappresentazione (mi riferisco in particolare alle sempre più diffuse mostre interattive). Si ha l’impressione che si vada perdendo il contatto con la materia e con la realtà e che l’immagine reale sia quella che passa attraverso lo schermo, mentre la realtà assume sempre più i contorni di un’evanescenza, di un’illusione.

Recuperare il contatto con la materia quanto può aiutare?

Non sarei del tutto negativa nel giudicare la diffusione delle mostre digitali e interattive perché queste rendono vicine e fruibili opere d’arte che difficilmente sarebbero raggiungibili per il grande pubblico. Esse forniscono anche tanti dettagli e le peculiarità tipiche delle esperienze “immersive” nelle quali percepisci l’arte come quando ti trovi a passeggiare nel centro di Firenze. È anche vero, purtroppo, un aspetto negativo che consiste principalmente nella perdita delle informazioni relative alla materialità di un’opera d’arte sviluppando opinioni erronee come potrebbe essere, ad esempio, credere che gli autoritratti di van Gogh siano tele enormi mentre nella realtà sono di dimensioni ridotte e questo puoi afferrarlo solo se vai ad ammirarle ai musei di Amsterdam, Parigi o New York.

O. Pino, Ritorno a Itaca, acrilici a spatola su MDF, 60×90, 2016, courtesy l’artista

Questo è un errore cognitivo in cui ricadono i nativi digitali oggi: tanti bambini, ad esempio, pensano che una mucca e un cane abbiano dimensioni simili!

Molto stretto sta divenendo anche il legame tra scienza e arte. In che modo, secondo te, l’una può contribuire allo sviluppo dell’altra?

Prima ho accennato al fatto che fino a una decina di anni fa pensavo che non vi potesse essere legame tra loro, che non vi potesse essere spazio nella scienza per l’irrazionale o per l’arte, che fossero dei cammini separati anche se paralleli. Adesso credo che sono inscindibili. Diverse mie opere risentono dei miei studi scientifici nell’ambito delle neuroscienze. L’approfondimento del funzionamento dei processi mentali ed emotivi che fanno le neuroscienze permette di dare un nome anche alla fruizione dell’arte. L’empatia è qualsiasi atto di partecipazione affettiva in cui vi è “immedesimazione” con un individuo, un oggetto (artistico), una situazione basato sulla capacità di imitazione che è incarnata negli organismi umani. Provare empatia vuol dire comprendere la realtà in base a esperienze precedenti altrui assaporandone la dinamica psichica secondo dimensioni psicologiche tramite le quali l’identità dell’Io si costituisce e il Sé si struttura in un noi superordinato. Come scienziato e come artista penso che la cosa più importante sia possedere una forte spiritualità in grado di offrire una base etica alla propria vita, poi tutto il resto è una conseguenza. ad esempio pensa la compassione e l’empatia sono escluse dalla preparazione medica.

L’interdipendenza di ogni ruolo e la responsabilità sono concetti che vanno ben compresi e applicati anche se la storia ci ricorda che fraintendimenti hanno giocato un ruolo devastante provocando tragedie per l’umanità. La scienza è una manifestazione del potere dell’arte ma ha bisogno di un’etica profonda, nel rispetto di ogni essere vivente e dell’ambiente. Il principio è che ogni cosa deve essere fatta per il bene dell’umanità. Il buddismo mi ha insegnato che il male è insito in ognuno di noi, indipendentemente dalla professione di ciascuno, uomo politico, scienziato, operaio, quindi è importante la cooperazione e il dialogo. L’esperienza verso la quale dobbiamo tendere è la collaborazione senza la quale la società non può funzionare.

Quanto l’arte può aiutare la società in generale e nel particolare l’individuo? E in che modo?

Io penso che sia un dovere di ognuno di noi sviluppare il proprio potenziale e i propri punti di forza, quindi oltre che il diritto, inalienabile, di poter essere chi desideriamo, anche un dovere verso gli altri. Ogni talento è una forma d’arte.

Siamo in un momento cruciale della storia del pianeta e dell’umanità. Molti problemi sono stati creati dalla specie umana. Se non cambiamo il corso della storia potremmo essere distrutti dal cambiamento climatico o dalle guerre, basti pensare a quello che succede in Siria o in Congo. La consapevolezza di sé a cui si può associare il significato di identità creativa nel libero funzionamento della mente forse possono essere le risposte. Le neuroscienze ci suggeriscono che la variabilità delle risposte che caratterizza gli individui appartenenti ad una specie è un requisito di base della plasticità e creatività, quindi della capacità di affrontare, con nuove e variabili soluzioni, situazioni problematiche. Dal punto di vista evolutivo, uno dei requisiti all’origine della plasticità è la presenza di una corteccia in grado di fornire risposte non stereotipate o specie-specifiche ma individuali. Essere coinvolti nei propri valori profondi può essere di grande beneficio per il nostro benessere fisico e psicologico mentre evitarli può farsi sentire insoddisfatti e portare a disagio. Gli obiettivi sono limitati nel tempo nel senso che quando li raggiungiamo li depenniamo da una lista. I valori, invece, sono la direzione verso cui miriamo nel corso della nostra vita in cui il cammino verso uno specifico valore è di per sé la destinazione.

-A. Celletti

O. Pino, Il tempo degli amanti, olio su tela, 50×70, 2013