JULIANNA BARWICK: una voce in pattern e loop station

J. Barwick in una foto. Fonte immagina: web

Come non capire Ulisse se avesse ceduto al richiamo delle sirene, qualora la loro melodia fosse stata non dissimile da quella liberata dal loop station di Julianna Barwick? È la stessa che udì il capitano Stormfield una volta entrato in Paradiso? In effetti l’impressione è paragonabile alla diffusione armoniosa e delicata di un’espansione celeste di voci angeliche, di cerchi rotanti come giostre sonanti. Voci che si tramutano in suoni, che immergono l’ascoltatore in atmosfere surreali, fatte di boschi ed acque cristalline che riflettono la luce della luna e la frantumano in mille coriandoli luminosi. Voci che sembrano voler narrare di antichi miti; che attirano e guidano in un trip dove la quiete e l’armonia regnano sovrane. Un vaso di Pandora, il loop station, che, una volta scoperchiato, libera tutte le delicatezze che il vibrare delle corde umane riesce a produrre; non vi è caos, ma regna ordine, stabilità. La musica di Julianna Barwick è tutta qui: voce e diffusore (e, di recente, anche strumenti). Nata in Louisiana, cresciuta nel Missouri e attualmente residente a Brooklyn, la Barwick riesce con pochi mezzi a creare suggestioni canore che l’hanno portata spesso ad essere paragonata a Enya, o accostando la sua musica alle sonorità nordiche dei Sigur Ròs.

J. Barwick in una foto sul suo letto

Un tripudio corale di mille voci espanse all’infinito, ma che originano da un’unica voce: quella della Barwick. Brevi composizioni, quelle iniziali, contenute negli EP Sanguine (2007) e Florine (2009), registrati in un luogo particolare: la sua camera, sul suo letto! Basti ascoltare un brano come Cloudbank (in Florine) per rimanere sbalorditi! Cori ottenuti registrando più volte la voce, pattern improvvisati, istantanei, ma giustapposti con maestria ed eleganza. Nel 2011 pubblica il primo LP, un lavoro più complesso, articolato: The Magic Place.

The Magic Place. Immagine copertina

Il titolo dell’album è legato ad un ricordo d’infanzia e, per l’esattezza, ad un albero che c’era nella fattoria dove l’artista abitava da bambina. Quest’albero ai suoi occhi era un luogo magico. Esso ”era cresciuto in tutte le direzioni. Dovevi strisciare per entrarvi e una volta dentro avevi la sensazione che ci fossero delle stanze e potevi sdraiarti all’interno dei rami” [Barwick]. Per ottenere una maggiore qualità, l’artista abbandonò il letto, uscì dalla camera e registrò i brani in una sala prove, perché aveva bisogno di un luogo che permettesse di ricavare un’ottima sonorità. La presenza di un pianoforte, lì collocato, fu lo spunto per approfondire la sua ricerca: la Barwick decise di inserire anche la strumentazione nei suoi lavori, preludio di nuove ricerche e di un perfezionamento di un lavoro già di per sé ben sviluppato. Un incontro felice, che ha portato la Barwick ad includere il quartetto d’archi Amiina (lo stesso dei Sigur Ròs) e, stavolta, un vero coro femminile nell’album Nepenthe (2013). Pyrrhic, uno dei singoli, è un’elegia. Un singolare celebrazione che rimanda ad un gotico epico, tra il noir e il solenne. È come camminare lungo la navate di una cattedrale, tra i fumi delle candele, mentre figure incappucciate accompagnano la marcia. Tutte le tracce, in realtà, hanno questo stile di base, in cui si ”mescola tragedia e lirismo, classicismo e decadentismo” [Ondarock].

Una carriera decennale, che ha trovato il consenso della critica e il riconoscimento pubblico, come dimostrano alcune importanti partecipazioni (tra le quali al Guggheneim di New York) e che ha visto la Barwick collaborare con grandi nomi del calibro dei Radiohead (ha remixato per loro Reckoner) e con la percussionista e graphic designer Ikue Mori, con la quale ha dato vita ad un progetto musicale complesso, FRKWYS vol. 6.

Pur restando fedele ad un progetto di base, che l’accosta al mondo della ambient e etereal music, la Barwick dimostra tuttavia un’apertura alla sperimentazione e alla contaminazione, che la porta ad esplora, tentare nuovi percorsi. Un grande orecchio e una visione decisa del percorso da intraprendere, sempre segnati da stupefacenti risultati.

Forse un genere, il suo, di nicchia, ma adatto a chi vuole chiudere gli occhi ed evadere. Chi vuole rifugiarsi nel suo ”magic place”.

-A. CELLETTI

fonte immagini: web