Jackson Pollock: genesi di un mito americano

Tempo fa un critico ha scritto che i miei dipinti non hanno inizio né fine.

Non lo intendeva come un complimento anche se in realtà lo era.

Era proprio un bel complimento,,

J. Pollock

CENNI BIOGRAFICI

Jackson Pollock

Jackson Pollock nasce nel 1912 e trascorrerà gran parte della sua infanzia tra Arizona e California, terre delle quali amerà sempre gli infiniti spazi e l’arte indiana ivi disseminata, che rimarrà un riferimento importante nei primi lavori.

Trasferitosi agli inizi degli anni Trenta a New York, segue all’Art Students League le lezioni dell’esponente del Regionalismo americano Thomas Hart Benton, al quale lo legherà sempre una profonda amicizia.

Negli stessi anni inizia a seguire anche con interesse le ricerche pittoriche dei muralisti messicani José Clemente Orozco e di Diego Riveira, all’epoca operanti a New York, e nel 1936 trova lavoro presso lo studio di David Alfaro Siqueiros.

Una prima occasione di visibilità pubblica l’avrà nel 1939 esponendo presso Mc Miller Gallery di John Graham, anche se solo nel 1943 con la personale presso l’Art in this Century di Peggy Guggenheim attirerà l’attenzione della critica.

Nel 1945 sposerà l’artista Lee Krasner (oggi pressoché sconosciuta, ma all’epoca assai famosa), la quale lo introdurrà nei più importanti ambienti del periodo e grazie alla quale avrà la possibilità di conoscere Willelm De Kooning.

La coppia si trasferirà a Springs, Long Island, e qui Pollock inizierà a sperimentare la tecnica del dripping.

Nel ’48 un’altra mostra presso la galleria della Guggenheim consoliderà ulteriormente il suo successo; seguiranno l’esposizione presso la Biennale di Venezia del 1950 e quella presso la Kunsthaus di Zurigo nel 1952.

L’irruenza e l’eccentricità del suo carattere, nonché lo stacanovismo nel lavoro saranno alla base del suo crollo morale seguito dai difficili problemi legati all’alcolismo, causa dell’incidente che l’11 agosto del 1956 lo uccise.

J. Pollock, Alchemy

GENESI DEL LAVORO DI POLLOCK: LA FASE FIGURATIVA

E’ pessima consuetudine di chiunque si interessi d’arte identificare un artista con un preciso stile, con una parte della sua produzione.

È così anche con Pollock, associato ai famosi quadri ”sgocciolati”, e il motivo di tale identificazione potrebbe rintracciarsi nell’importanza che questi hanno avuto all’interno del percorso artistico americano e mondiale.

La rilevanza attribuita a questi ha portato a trascurare tutta una consistente parte del suo lavoro, quella da segnalare non solo perché in essa vi è ancora una traccia figurativa, ma perché questa rappresenta il porto da cui l’artista è salpato per approdare al dripping (tecnica a cui ricorrerà in modo sistematico e definito a partire dal 1945).

Il corpus pollockiano è un percorso in divenire, una genesi che è frutto e sintesi di fattori disomogenei, di trascrizioni di culture e linguaggi in discordanza, ma che hanno trovato nell’artista americano un giusto equilibrio, un dialogo che li ha uniti nel caos endemico di trasfigurazioni astratte e da cui ne è stato tratto un nuovo linguaggio.

Ha ragione pertanto Achille Bonito Oliva nel sostenere che Pollock diventi un catalizzatore di diverse provenienze stilistiche sulle quali si innestano diverse antropologie, tutte amalgamate dall’ansietà espressiva di un artista che si pone come ”esploratore di superfici”.

Fondamentale è per Pollock, come già per tutti gli artisti della nuova generazione (vedi https://artavanguardia.altervista.org/action-painting-capire-pollock/) l’esperienza delle avanguardie europee, in particolare in questo caso Cubismo e Surrealismo.

Dal Cubismo sintetico di Picasso, infatti, ricava una nuova concezione dello spazio, sostituendo alla verticalità dell’andamento il suo opposto, creando un campo di forze centripete che destrutturano l’immagine in un coacervo di linee che si intrecciano in maniera labirintica, pur mantenendo la loro organicità.

Il Surrealismo lo affascina molto. L’idea della trascrizione visiva del mondo dei sogni e dell’inconscio gli offre un’ampia gamma di immagini fantasiose la cui potenza deriva loro dalla vivacità cromatica che mutua da Mirò, il quale, insieme a De Kooning, sarà fondamentale nell’apprendimento e nell’apprezzamento dell’automatismo, del segno e del gesto come manifestazioni dirette della propria interiorità.

A questi si aggiungono altri due fattori: il primo riguarda l’avvicinamento e il fascino subito da Pollock dalle teorie di Jung, conosciute durante il periodo (dal 1939 al 1943) in cui si sottopose alla psicoterapia per i problemi legati all’alcolismo.

A colpirlo furono in particolare le riflessioni sul concetto dell’archetipo, ossia di quelle immagini sedimentate nella memoria come eredità dell’inconscio collettivo, quello ossia legato a popoli e culture e che trovano espressione nel mito, nelle favole e nei sogni e che sono la chiave d’accesso immediata verso l’inconscio.

J. Pollock, Guardiani del segreto, 1942, New York Guggenheim Museum

Il secondo fattore, unitamente all’interesse per la mitologia greca e per la pittura messicana, riguarda la conoscenza e l’apprendimento della mitologia e della pittura dei nativi americani, in particolare la pittura di sabbia dei Navajo.

Questa riuscirebbe, secondo l’artista, a trasmettere concetti universali per mezzo di immagini sintetiche e comuni, nonché a fare un uso in maniera occidentale del colore.

In questa prima fase Pollock ” lotta con fantasie primitive e vitali derivate dalle immagini di Guernica di Picasso e con tutte le risorse mentali dei mostri surrealisti, ma il suo pennello libero e possente dissolse tutto ciò che di violento era nel contenuto, trasformandolo sottilmente nella scrittura non rappresentativa che in seguito divenne il suo marchio distintivo”.

Agli inizi degli anni ’40 si dedica al soggetto della donna-luna, ispirato dalle teorie junghiane secondo le quali la donna sarebbe emblema dell’inconscio, dell’emozione e della soggettività.

J. Pollock, La donna luna, 1942, New York, Guggenheim Museum

I dipinti di questa fase (La donna luna, La donna-luna taglia il cerchio) risentono molto delle influenze di Picasso e della poesia di Baudelaire e presentano un’energia creativa potente, evidenziata da un uso denso del colore e dalla marcatura del segno; elementi quest’ultimi che ancora persisteranno nelle tele dei primi anni ’40 (come nel caso di Maschio e femmina, Figura stenografica, Guardiani del segreto), ancora influenzati dalla cultura Navajio, ma che mostrano un’evoluzione della pittura di Pollock verso l’astrazione.

LA FASE ASTRATTA

Mural è il dipinto che segna il primo grande passaggio dalla pittura figurativa ad una di matrice astratta; esposto nel ’43 alla Art of This Century, questo si presenta come un groviglio di linee che si ripetono in sequenza e che allude al caos primordiale, all’arte primitiva.

È tuttavia tra il 1946 e il 1947 che avviene la grande svolta ed essa è racchiusa in un semplice gesto, le cui conseguenze furono tuttavia decisive e fondamentali nel nuovo modo di concepire l’arte: Pollock abbandona il cavalletto e inizia a disporre le tele a terra.

<< Sul pavimento mi sento più a mio agio, mi sento più vicino, più una parte del quadro perchè posso camminarci intorno, lavorarci dai quattro lati, esserci letteralmente dentro>>.

Sulla tela Pollock lascia colare il colore, creando in tale modo una sinergia tra movimento, gesto e il caso.

Un atto attorno al quale si è sviluppata una letteratura quasi mitologica volta a mettere in luce una ritualità insita in questa sorta di danza.

Il termine stesso induce a pensare ad una gestualità aggraziata e surreale, ma la percezione che se ne ricava sembrerebbe tuttavia suggerire l’esatto contrario.

Il muoversi di Pollock è un atto che si carica di un materialismo e di un realismo disarmanti.

C’è energia e libertà nel gesto dello spostarsi e nel guidare il colore che cade comunque sulla tela svincolato da ogni proposito razionale.

Il muoversi dentro e intorno alla tela implica un radicale abbattimento di ogni distanza tra l’opera e l’artista, anzi ne suggerisce un solito ancoraggio, ed è il segnale rivoluzionario di un ribaltamento di ogni convenzione artistica legata ad una idea costruttiva.

J. Pollock, Ritmo d’autunno, 1947, acrilico su tela, New York

Il colore si dispone sulla tela dando vita a trame di filamenti che vi si adagiano senza ingombri, intersecandosi le une alle altre senza che vi sia mai la sensazione di interruzione, di forzature, di una direzionalità imposta. Quest’ultima non conosce limiti; essa di propaga dagli angoli più nascosti e si protrae ben oltre il confine del quadro per investire l’esterno, per racchiuderlo negli anfratti coloristici di una visione che abolisce la realtà, la disintegra sotto il segno di un gesto violento che il pittore compie scaricando il colore dal pennello e che si dispone sulle tela a mo’ di macchia (una gestualità irruenta che Pollock riprende dalle ricerche in quegli anni portate avanti dal movimento asiatico Gutai), emblema di una vitalità propulsiva totale, in cui non c’è spazio per il vuoto.

Un’esperienza totalizzante e viva, sintomo di una frenesia che all’horror vacui contrappone la pienezza.

Per tali ragioni è lecito domandarsi: esiste un verso nei quadri di Pollock?

La risposta dovrebbe a questo punto essere negativa e per logica conseguenza i suoi dipinti non dovrebbero essere esposti appesi ad una parete perché se ne violerebbe la natura, se ne sminuirebbe l’emozione e il portato espressivo.

J. Pollock, Full Fathom Five, acrilico e materiali vari su tela 1947, New York

Il risultato di questo assiduo lavoro che si protrae per cinque intensi anni ha dato vita ad opere intense come Full Fathom Five (del 1950, il primo interamente realizzato con la tecnica del dripping), o Ritmo d’autunno (Number 30) per concludersi con alcuni dipinti monocromatici, realizzati con pennellate nere in cui l’artista sposta la sua attenzione sulla violenza e intensità del segno che va a informare tutto il campo della tela.

<<In Pollock>> scrive Bonito Oliva <<tutto diventa precario e nello stesso tempo definitivo, tracciato dentro la sostanza cementata di una superficie che accoglie e trattiene ogni segno in maniera duratura.

Le immagini restano impigliate dentro lo spessore di una materia densa e certamente non nobile>>.

-A. Celletti

J. Pollock, N. 8, 1940

FONTI BIBLIOGRAFICHE

-A. BONITO OLIVA, Pollock, in ArtDossier, ed. Giunti

-ASHTON e HUNTER,tratto da ”Action Painting: la generazione eroica, in Arte Moderna, dall’astrazione geometrica alla pop art vol.37, ed. Fabbri

-Storia dell’arte, Arte americana, vol. 16 ed. Electa