G. KLIMT: ”GIUDITTA”, tra Arte e Storia

G. Klimt, Giuditta (I), 1901, olio su tela, cm 42×84, Vienna, Osterreichische Galerie

‘…Giuditta, figlia di Merari,/ con la bellezza del suo volto lo fiaccò./ Depose l’abito della vedovanza/ per il conforto degli afflitti in Israele,/unse il suo volto con profumo,/ cinse le chiome con un diadema,/ rivestì una veste di lino per sedurlo./ I suoi sandali rapirono lo sguardo di lui,/ la sua bellezza cattivò la sua anima,/ la scimitarra trapassò il suo collo” (Gdt, 16,10).

La seduzione come potere e la bellezza come arma.

Giuditta incarna l’ideale di eroina che sfrutta, con consapevolezza, le sue doti fisiche per piegare il nemico ed annientarlo.

La lussuria e il vanesio si tramutano in essa da vizi in virtù e, in nome del suo popolo e del suo Dio, sacrifica se stessa, la sua vedovanza, la sua dignità.

La donna consegnataci da  Gustav Klimt (1862-1918), tuttavia, trasmette ben altro.

Essa, infatti, di eroico ha ben poco, se non la fierezza di un presunto incedere trionfante, ma è l’erotismo a caratterizzarla.

Le morbide e trasparenti vesti che scivolano sul candido corpo e fanno trapelare i seni non alludono alla fertilità che generalmente essi rappresentano nell’iconologia, ma si offrono allo sguardo voluttuoso dell’osservatore, mentre le labbra e gli occhi appena socchiusi delineano un’espressione appagata, di godimento.

La sensualità è donna ed essa regna sovrana.

La Giuditta klimtiana è l’esempio della ‘‘femme fatale” novecentesca, altezzosa e vendicativa, seducente ed erotica.

All’artista, tuttavia, non interessa tanto l’indagine psicologica, quanto piuttosto ”la possibilità di fare incontrare il realismo volumetrico dell’incarnato con i motivi astratti e geometrici creati dalla sua fantasia facendo perdere all’immagine tutto ciò che di troppo soggettivo e occasionale vi può essere nel genere ritrattistico’‘ [M. Chini].

La Giuditta, nella prima versione (del 1901), rappresenta d’altronde un’opera che, insieme al Fregio di Beethoven, segna il passaggio dalla fase storicistica a quella ”aurea”, forse la più affascinante e nota del corpus di opere dell’artista. Tale fase coincide con un mutamento sostanziale all’interno della cultura viennese.

All’apice della gloria imperiale, tale fasto (pur con all’interno una serie di difficoltà derivanti dal controllo di una eterogenea vastità di territori) venne celebrato attraverso un protocollo stilistico accademico, di forte impronta classicheggiante, che rintracciava nella storia motivi e stili tali da esaltare la magnificenza della potenza austro-ungarica.

Il nuovo clima europeo rese ben presto obsoleta e provinciale la cultura viennese e ciò spinse alcuni artisti e intellettuali a cercare nuove soluzioni.

La frattura creata tra le tendenze tradizionaliste e le nuove spinte assunse il nome di Secessione, la quale non si concretizzò in un gruppo omogeneo, ma, partendo da un presupposto comune -il rinnovamento culturale-, lasciava gli artisti liberi di sviluppare delle proprie poetiche.

Klimt, da parte sua, si orientò ad un recupero dell’arte medievale (apprezzata per la sua libertà formale) e bizantina (che avrà possibilità di ammirare durante il viaggio in Italia nel 1903), declinandoli in chiave moderna; da tale incontro nasceranno tele caratterizzate dalla prevalenza dell’oro, nelle quali è la bidimensionalità a dominare, frantumando l’immagine in una miriade di frammenti fortemente stilizzati e nelle quali il volto viene incastonato come un cammeo, ma in perfetta conformità col resto dell’opera.

La Giuditta assomma tutte queste componenti, col risultato di offrire all’osservatore una visione misticheggiante della sensualità, ove a predominare è il fondale aureo (che ricalca alcuni fregi provenienti dai resti archeologici di Ninive) che incornicia il volto della donna, un volto tra i più belli e potenti della storia dell’arte.

G. Klimt, Giuditta (I), 1901, olio su tela, cm 42×84, Vienna, Osterreichische Galerie, particolare

I motivi orientali della veste e dell’oreficeria bizantina conferiscono all’insieme un gusto esotico e barbareggiante, un polimorfismo che è espressione del carattere multiculturale e maestoso dell’Impero.

Giuditta è regale nella sua presenza iconica, femminile nelle forme del corpo che, nella visione piatta, le modella come una corazza le carni.

Oloferne è secondario e sembra quasi sparire. L’evocazione dell’episodio biblico viene celebrato nell’esaltazione del simbolo di cui Giuditta si fa carico: l’ombra decadente di un Impero che vive nell’illusione di essere ancora grandioso.

-A. Celletti

FONTI BIBLIOGRAFICHE:

Klimt, ed. Giunti

Klimt, ed. Skira

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