ALMA MATER: contro la violenza sulle donne

Nan Goldin, Nan One Month After Beig Battered, dalla serie ”The Ballad of Sexual Dependancy, immagine da web

…portò le mani sul capo

insanguinando con l’unghia la tenera

gota in micidiali colpi,,

Euripide, Elena

Un cadavere al centro della scena di un delitto. Su di esso si concentra l’attenzione degli inquirenti, della stampa, dell’opinione pubblica. Su di esso si riversa un moto sentimentale di rabbia, di orrore, di compassione. Il corpo, poi, viene portato via e al suo posto un tracciato in gesso che ne rappresenta la sagoma, che, come una fotografia, ne imprime l’ultimo movimento, ne testimonia l’ultima presenza materiale. Una forma anonima, insignificante, è quanto rappresenta la sagoma. Se da un lato testimonia la presenza, dall’altro demarca la scomparsa, la condanna all’oblio. Quante sagome sono state tracciate negli anni? Molte, certamente troppe.

La violenza è una manifestazione di uno stato primitivo da sempre presente in natura e che, nell’uomo, ha superato il bisogno istintivo della sopravvivenza per tramutarsi, invece, in atto collerico, una pulsione cui sottende un barbarico preconcetto di dominio su ciò che lo circonda, siano essi oggetti o suoi simili.

Una sagoma non è nulla. Non si può definire neanche un oggetto. È una testimonianza, ma essa è priva di forme, di identità. Una, anzi 100 sagome, come quelle apparse a Roma in occasione della Giornata interazionale contro la violenza sulle donne. È triste constatare come, nel 2017, si debba dedicare una giornata per compiangere donne vittime della brutale mano omicida dell’uomo. Quelle sagome stanno lì, mute, anonime. Esse raccontano il dramma vissuto ogni giorno da centinaia di donne (già 125 a partire dall’inizio dell’anno), uccise, violentate, sottomesse, abusate quotidianamente nell’unico luogo che dovrebbe proteggerle, la loro casa. Quelle sagome denunciano questa realtà, oscillante tra un orrido surrealismo e un primitivismo nei suoi più atroci aspetti. Esse sono le testimoni mute di chi ha paura, di chi si rinchiude nell’anonimato, ma, soprattutto di chi grida il suo dolore e non viene ascoltata. Perché la realtà è anche questa. In un mondo che si regge sui pregiudizi, la paura ha la meglio su chi non è capace di ribellarsi, su chi, pur agendo, si sente abbandonata dalle istituzioni che dovrebbero essere, invece, chiamate a tutelarle. Finiscono così tra le pagine sfuggevoli della cronaca e la lista dei loro nomi si amplia ogni giorno. Ogni giorno talmente tanti sono i casi di omicidi perpetrati ai danni di queste donne, che esse finiscono per essere dimenticate. Le sagome servono a riportarle in vita, anche se solo per un giorno. Pur se anonime, esse divengono la presenza delle vittime scomparse e di quelle ancora in vita. Non hanno connotati definiti, ma divengono l’emblema del dramma attuale di tutte. Una sagoma come quella realizzata da Valeria Catania in occasione dell’evento TDoR, promosso dal Co.LT-Coordinamento Lazio Trans, lo scorso 19 novembre, per ricordare le vittime di transfobia (un’altra piaga sovente sottaciuta nel nostro Paese). Una sagoma, al centro della quale, su una macchia rossa, simbolo del corpo ferito, mutilato e umiliato, si apre un quaderno, i cui fogli sono, tuttavia, bianchi, a testimoniare le pagine del libro di una vita interrotta a metà. Pagine su cui nessuno potrà più scrivere la sua storia. Il pubblico diviene, per l’occasione, parte attiva dell’opera, intervenendo lasciando su dei biglietti un pensiero e apponendoli sulla sagoma stessa. Quel pensiero diviene testimonianza finalizzata a ridonare un’identità e a renderla condivisa e voce molteplice con chi si riflette in essa. Lo stesso significato di cui si caricano le scarpe rosse che tempestano i luoghi pubblici in questa giornata. Come nel lavoro di Chiharu Shiota, ciò che bisogna evidenziare è il gesto del donare: esso simboleggia l’atto della condivisione, il voler, attraverso il lascito di un oggetto, raccontarsi e fare di quell’esperienza memoria di se stessi per gli altri.

L’arte d’altronde ha rappresentato un medium equivoco nella definizione della posizione della donna all’interno del tessuto sociale. Essa l’ha infatti esaltata come custode di un’ideale di bellezza che ha nel corpo un punto di riferimento imprescindibile nella definizione estetica della sensualità, della fecondità, della forma. Dall’altra parte, tuttavia, tale canonizzazione dell’ideale ha sortito l’effetto di un’oggettivazione, allorché alla mistificazione del femmineo si è andata sostituendo un’estetica perversa della materialità, con il risultato che un corpo è divenuto tale in quanto oggetto di lucro e voyeurismo. Riflesso di un pensiero, che l’arte ha avuto forse il demerito di rafforzare, contro il quale hanno lottato attiviste e molte artiste. Se George Sand provocatoriamente si vestiva da uomo per far apprezzare il suo lavoro, nulla ha impedito, nel secondo dopoguerra, a VALIE EXPO di mostrare al pubblico i genitali, a Gina Pane di ferirsi per purificare un corpo ritenuto immondo, a Ana Mendieta di tingere di rosso le sue sagome o tingere le pareti di sangue. Azioni forti, atte a rivendicare il ruolo paritario del genere femminile. Voci importati nel processo di emancipazioni di donne in quanto tali e del loro ruolo di artiste (si consideri che sino ad un trentennio circa la discriminazione nel mondo artistico era ancora molto marcata). Un’emancipazione il cui prezzo sembra oggi essere pagato ancora molto caro.

Quale è il male che attanaglia la società? Possiamo solo considerarlo un crudele retaggio della tradizione o iscriverlo come incapacità a non sopperire sotto gli ingranaggi di un mondo che vuole l’umano meccanizzato ed iscritto in determinate logiche cripto-distruttive? Secondo Grazia Ardissone ”è indubbio che nel mondo contemporaneo si viva con l’impressione che la tendenza distruttiva non sia semplicemente una parte della nostra epoca moderna e di fine modernità, ma costituisca la sua totalità”, una sola e unica via contro l’incapacità di una liberazione. Da cosa?

Che fine ha fatto Jacopo Ortis? Come è possibile che Romeo si sia tramutato in Otello? Per quanto ancora dobbiamo ammazzare Desdemona?

È incredibile che in un mondo che si proietta verso un futuro tecnologico, l’uomo continui a camminare in avanti guardandosi indietro. Fossimo tutti dei Trofimovic (uno dei protagonisti de I Demoni di Dostoevskij), il quale, anziché soccombere al nichilismo, lo fugge intraprendendo un viaggio! Ci ritroviamo invece ad essere degli Stavrogin, votati alla distruzione totale per mezzo del sacrificio dell’altro. Come lui, è da chiedersi con quale lucidità possa un uomo avere la fermezza di stuprare, ammazzare e vedere morire sotto i suoi occhi una donna, una madre, una figlia. Siamo tutti un po Caino e Abramo ha sacrificato Isacco. Nella lotta tra Tofimovic e Stavrogin, stiamo permettendo a quest’ultimo di vincere. Dovremmo ripensare a noi stessi, nella consapevolezza che l’unico dominio che siamo legittimati ad esercitare è su noi stessi; che in un mondo materialista, non tutto si riduce a tale, ma ci sono nostri simili su cui non dovremmo mai prevaricare, ma affiancarli. E una donna, in questo mondo, deve essere libera di circondarsi di oggetti, ma mai deve essere considerata essa stessa tale.

Intraprendendo un viaggio dentro di noi, forse un domani (ma che sia un domani immediato e non remoto) non dovremo più vedere scarpe rosse non indossate, o sagome vuote. Vuote come il sentimento che attanaglia una donna umiliata, molestata. Vuote come il corpo barbaro del suo carnefice.

Aboliamo le tradizioni nei loro aspetti più retrogradi. Shirin Neshat riesce a cogliere questa esigenza in maniera molto sensibile e suggestiva, ritraendo donne ossequiose dei loro costumi, ma pronte a lottare (imbracciando delle armi) contro ogni retaggio che ne limiti la libertà di essere. D’altronde che senso ha la disparità di genere?

Chi ha eletto l’uomo padrone e la donna schiava? Se davvero dobbiamo reggere le sorti del mondo su simili gerarchie, allora sarebbe il caso di rivalutare la selezione naturale e interrogare Dio sul reale significato dell’essere simili dinanzi ai suoi occhi.

Non vogliamo più sagome. Nessuno ha chiesto di immolare Ifigenia per la gloria altrui.

-A. Celletti

A tutte le donne. A tutte coloro che hanno lottato e lottano. Per tutte coloro che non hanno la forza per farlo: NON SIETE SOLE!

fonte immagini:

Valeria Catania

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