ALESSANDRO PORTO: poesia come arte performativa

@Alessandro S. Porto, courtesy l’artista. Autoritratto: Ho sguardo fosco, occhi incavati e intenti/ dentro e fuori solcati dal notturno,/ bui al crepuscolo, brillanti nel diurno,/ labbra ho morbide e rosee e aguzzi i denti;/ stretto il viso, in cornice tra la barba/ e il folto crine castano e distratto,/ non ho corpo divino, ma ben fatto,/ che funziona così come gli garba./  Tenace e prode son di lingua e spada,/ inquieto e sempre mosso dal timore/ che nella noia la mia mente cada;/ di sensi pieno, di pazienza fiacco,/ sempre vacillo tra ragione e amore,/ sempre combatto tra Minerva e Bacco.

Quale è il ruolo e quale è il valore della poesia nella contemporaneità?

Chi è il poeta oggi?

Sono questi alcuni interrogativi che ho posto ad Alessandro Porto, giovane artista letterario, il quale, in merito a tali questioni, sembra avere bene le idee chiare allorquando afferma che:<<la poesia non possa più avere un ruolo didascalico, semplicemente perché non è più chiaro quali valori esistano e quali valori sia un bene trasmettere, tuttavia sono contro la poesia da cabaret>> riconoscendole invece valore di arte performativa intesa non <<non come arte fine a se stessa, bensì come “dimostrazione”. Non può insegnare, ma può dimostrare delle possibilità di vita, delle scelte, quelle prese dai singoli poeti. La poesia può ancora mettere in luce molte cose del mondo, può dimostrare le contraddizioni della nostra società, può pure denunciarle, se lo sente, ma è certo che debba uscire dai musei. La poesia deve tornare arte performativa, deve essere declamata, deve essere ascoltata come si ascolta la musica e questo è ciٍ che cerco di fare scrivendo ed esibendomi>>.

All’insegna di questa convinzione, Alessandro Porto si dissocia dall’immagine romantica del poeta come anima sovrasensibile, definendo se stesso un ”sovrasensuale” alla ricerca continua di percezioni, del forte sentire, di una vittoria sul nulla del mondo.

<< Prima guardavo le stelle. Ora sogno di stringerle>>.

Ha una personalità curiosa Alessandro Porto e a dimostrarlo basterà citare la definizione che è solito darsi, quella cioè di ”mezzo artista”. Espressione non tanto di modestia, quanto un tentativo di autocommiserazione contro il quale ha deciso di andare contro, lottando con quei demoni che troppo lo spingevano ad accomunarsi ai novelli poeti post-romantici ammaliati dal mito del poetare maledetto, più personaggi che personalità.

E questa natura post-romantica, un poco bohémien, un poco Bukowski mood, è quella che emerge nel ritratto che tratteggia di sé in ‘‘Mezzi racconti di un mezzo artista”, una raccolta di ”mezzi pensieri” disconnessi tra loro, nei quali Porto affronta anche tematiche legate allo status quo della letteratura.

In particolare, ”Manifestazioni di variabilità stilistica”, nei tra manifesti che compongono il capitolo (”del malvagio stil novo”, ”della cultura pop di consumo” e ”della romantica resistenza), è un ironico atto di accusa contro la decadenza stilistica e tematica delle lettere, incentrate sempre più sul solo nichilismo o consumismo, un lassativo per case editrici fameliche di anime da sfruttare e menti troppo pigre per poter pretendere prodotti intellettualmente più soddisfacenti.

Se ci si dovesse basare solo su quanto contenuto nei ”Mezzi racconti…” l’idea che ci si farebbe di Alessandro Porto sarebbe di certo quella di un bambino che cammina carponi in un sentiero tortuoso, cadendo ad ogni tentativo di provare ad alzarsi e per questo rassegnato a sfruttare tutti i mezzi che quella sua condizione gli offre per cercare di andare avanti; un bambino, tuttavia, consapevole della sua natura bipede e che è quello l’obiettivo che deve raggiungere. Deve solo trovare chi lo incoraggi e il giusto modo per poter stare in piedi con la dignità che la sua natura gli impone.

Di quel ragazzo, infatti, come egli sostiene è rimasto ben poco; l’autodistruzione ha lasciato il posto ad un’audacia nello sperimentare generi diversi, raccogliendoli sotto l’egida della poesia e trovando il modo di far riemergere la dimensione performativa della declamazione poetica.

Se ”Mezzi racconti di un mezzo artista” costituisce un punto di riferimento importante quanto meno per delineare il pensiero di fondo dell’artista, ‘‘Poesia d’annata” è la realizzazione in versi di questo.

Dalla raccolta emerge infatti una padronanza linguistica del tutto fuori dall’ordinario: già il ricorso alla metrica e alle figure retoriche simboleggia la volontà di emulare la grande tradizione poetica. D’altronde Quintiliano sosteneva illo tempore che ” anche coloro che non aspireranno alle vette più alte dovrebbero pareggiare con i modelli piuttosto che riprodurli semplicemente” e Alessandro Porto sembra fare tesoro di questo insegnamento.

Egli ammira di quelli la musicalità dei loro versi, il loro modo di comporre così articolato in modo che ciascun elemento si giustapponga all’altro come la serie delle note su uno spartito.

In questa ricerca è da individuarsi l’originalità della sua poesia, ossia nel riproporre la metrica, le figure retoriche, le metafore col risultato di dare vita a componimenti scorrevoli, sorta di filastrocche (non in senso spregiativo) rimate, linguisticamente sofisticate.

Può apparire paradossale che l’emulazione degli artisti del passato possa costituire elemento di novità, ma non può essere altrimenti per chi crede ancora nella poesia e per chi, come Alessandro Porto, in tal modo vuole ridonare dignità ad un genere sempre più abusato dai contemporanei, i quali ‘‘hanno forse contenuti di uguale o anche superiore consistenza, ma senza musica, senza metro, senza figure di suono… le loro poesie restano belle prose farcite di ‘a capo’ ”.

L’incerto mezzo artista, colui che diceva che ”abbandonarsi alla decadenza è un fatto spirituale, una scelta, una scusa, che ti solleva dalle responsabilità di un mondo che crolla”, è pronto a mettersi in discussione e ha tutte le doti per riuscire nel suo intento, con l’augurio di riuscire a restituire alla poesia il giusto valore e divenire per mezzo di essa una voce nuova, innovativa del nostro panorama letterario, preservando la sua visione artistica a 360° e quell’anticonformismo sui generis.

Quel mezzo artista afferma oggi con fierezza: <<Ora finisco le mie opere e recito in mutande>>.

Buon per lui!

Ad maiora, artista.

-Alessio Celletti